La pietra che si rivolta, respinge, talvolta però asseconda. Una figura quasi messianica, ancorata al bianco della pietra, alla purezza di visione divina, celestiale ancor prima che artistica, a caccia di eternità. Nelle grazie del creatore, ancor prima che del genio umano.
Parla di tutto questo Michelangelo Infinito, documentario sull’arte visto in sala dal 27 settembre al 3 ottobre che rientra a pieno titolo in quel novero di opere che ultimamente hanno proliferato al cinema – ed è una buona notizia, sul piano culturale – incontrando un ottimo favore e una risposta entusiasta da parte del pubblico, indubbiamente attratto dalla cornice e dalla percezione dell’evento da assaporare in sala.
Come altri suoi predecessori il film, dai produttori di Caravaggio, l’Anima e il Sangue e Raffaello, il Principe delle Arti, si avvale di una confezione sfavillante galvanizzata dalla tecnologia in 4K, che accresce negli spettatori il desiderio di fruire di tali lavori sul grande schermo, con una vena immersiva che solletichi la mente ma regali altrettanto godimenti agli occhi e alle viscere.
Al centro del progetto, naturalmente e come suggerito dal roboante titolo, la vita e tutta la principale produzione artistica di Michelangelo Buonarroti, ma anche il racconto di un’impresa senza precedenti: la decorazione della Volta della Cappella Sistina e del Giudizio Universale, il cui processo viene ricostruito attraverso documentazioni e consulenze fornite dai Musei Vaticani, con un fotorealismo che si serve di effetti speciali e tecniche digitali.
Il prodotto intende anche sondare l’umanità dietro le opere d’arte secolari, l’uomo, interpretato da Enrico Lo Verso, alle spalle della luminosa icona rinascimentale, affiancato dal puntuale catalogatore di vite Giorgio Vasari, che in questo caso ha il volto austero e carico di antica gravitas di Ivano Marescotti.
Il visivo e il marmoreo, l’aleatorio e l’assolutamente concreto convivono così in un’illustrazione ovviamente didattica e controllata nello stile. Al servizio del punto di vista di un genio che seppe modellare e intagliare come nessun altro, guidato da un furore contemporaneamente tormentato ed estatico, per citare l’attempato film di Carol Reed dedicato all’artista toscano.
Ma a coesistere sono anche gli strumenti canonici del documentario e quelli, più rigidi ma non per questo non preziosi, della fiction, che sono gli uni la stampella degli altri. In un equilibrio che ha il sapore accogliente di una lezione di storia dell’arte ricca e cadenzata tanto quanto lo fu la vita di Michelangelo, in perenne torsione verso un’ideale di perfezione dai contorni ultraterreni.
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