Mission: Impossible 6 - Fallout: la recensione di loland10
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Mission: Impossible 6 – Fallout: la recensione di loland10

Mission: Impossible 6 – Fallout: la recensione di loland10

“Mission Impossible. Fallout” (id., 2018) è il quarto lungometraggio del regista-sceneggiatore del New Jersey, Christopher McQuarrie.
Al sesto capitolo il franchising di M.I. e del suo eroe marchiano Ethan M. Hunt (Tom Cruise) si alternano, mescolandosi benissimo, in un surplus salutare e vigoroso.
Che dire oramai di una serie inossidabile, oliata, ritmata è piena di fulgore adrenalinico? Nulla o quasi perché il buon Tom sembra ogni volta disperato (ironia di livello alla ‘Coen-buster’) per non sapere cosa fare (“ci sto pensando” quando le cose si mettono malissimo e succede quasi sempre) ma riesce a convicersi(ci) che nulla vale la pena scartare e la ‘missione’ è sempre da fare.
Certo la produzione non bada a spese e la sceneggiatura si concede di tutto: i salti, le corse, le rincorse, gli aerei, gli elicotteri, le pareti rocciose, i grattacieli, i trabocchetti, le moto, le auto, gli ambienti e città tutte, la tempesta del deserto, il pulsante azzerante e l’inconscia ironia per un film che aspetti così. Ci si diverte senza pagare pegno e senza porsi e farsi tanti ragionamenti. Ad un’età oramai verso i sessant’anni il divo americano sfoggia un temperamento e un ghigno quasi da invidiare. Eppure si era detto (e scritto) che ne ‘La mummia’ (2017) il nostro eroe pareva perso e fin troppo plastificato, quasi poco convinto e in fase calante…ma è questa serie (unica nel suo genere più di altre) che dà nuovo vigore e linfa all’attore che non si perde minimamente e ci mette tutto quello che ha in corpo.
Parlare e far sapere alla Cia neanche per idea perché il nostro Ethan risolve tutto da suo con idee geniali e naturalmente spericolatissime al rischio…di spasmo quadratico per lo spettatore. E quando parte il ‘refrain-tema’ musicale viene la pelle d’oca, inutile nasconderlo: si aspetta dopo il lungo inizio…la tensione giusta per entrare nel vivo del film. Partono i titoli di testa e le note di Boris Schifrin (dalla serie tv iniziata nel 1966) poi riprese dai più e anche da A.Clayton e Larry Mullen (degli U2). E il minutaggio diventa un battito cardiaco continuo, uno spasmo allegorico, un miscuglio salutare e un montaggio pestante spaventosamente di corsa senza sosta fino al’’ultimo minuto (quello finale è una cartolina per il pubblico della prima ora).
Tutti sono scambiabili e lasciati morire ma l’amico Luther (Ving Rhames), che ha preso parte a tutte le scorribande impossibili, non si lascia mai per terra sofferente. E’ lui che detta i tempi, è lui che legge Hunt, solo lui conosce ogni minimo dettaglio fino al punto zero. Il taglio avviene (e un filo non vale assolutamente un altro) in modo perfetto e sincronizzato. Luther e Hunt hanno dalla loro un’omogeneità di intenti anche a lunga distanza e ambiente. E nei titoli di coda l’omaggio (che non è solo di circostanza si osa immaginare) è ben posizionato: il primo volto (e nome) che viene messo è quello dell’attore newyorkese al partire del tema celeberrimo.
Trama: guerra e fine di tre luoghi simboli delle religioni monoteiste, Vaticano, Gerusalemme e La Mecca per la banda terroristica criminale denominata gli Apostoli. Si devono recuperare tre atomi di plutonio
Si devono recuperare tre possibili bombe nucleari. La spedizione ha imprevisti naturalmente tra Parigi, Londra e la regione del Kashmir. Naturalmente fino all’ultimo secondo. Ultimissimo come sempre.
L’ironia di un sorriso e lo sforzo di un film finito (quasi un esserci per un prossimo capitolo…chi sa) fanno da epilogo ad un film che ha dentro di se lo spettacolo velocissimo e contagioso. Tom Cruise ha la verve giusta per farci dimenticare la sua carta d’identità. Anni eccessivi per passare da un B. De Palma (non uno qualsiasi) al regista del New Jersey (le ultime quattro pellicole hanno il suo zampino come sceneggiatore e riprese).
Incipit lungo e adrenalinica-mente corretto per i titoli di testa. Si arriva alla musica quasi accarezzando ogni scena per farla arrivare. E i tempi sono più o meno dilatati.
Inseguimento a Parigi: camion, moto e altro; ecco che rinverdire i fasti del ‘contromano’ di vecchia memoria (da ‘Il braccio violento della legge’, 1971, di W. Friedkin, in poi). In un attimo, tra i tanti, si intravedono due turisti (comparse o no…) che nello scendere le scale (di una chiesa) si fermano all’istante mentre tutt’attorno gira un set roboante. Spaventati o entusiasti…chi sa.
Inseguimento a piedi….o meglio di gran corsa per aggrapparsi alla fine ad un ascensore chiuso. Una corsa spasmodica e senza sosta. Come tante. Nel terzo capitolo se ne ricorda una esemplare. E mentre guardiamo ci ricordiamo che lo stuntman è abolito. I rischi del mestiere nei salti dei palazzi…
Elicotteri e inseguimento. A mani nude sulle pareti rocciose. E qui è facile ricordare un giro di manovella (molto più di una) verso ‘Il mondo perduto. J.P.” (1996) e ‘Indiana Jones e l’ultima crociata’ (1989) (entrambi di S. Spielberg) per l’atterraggio (si fa per dire) degli elicotteri (come quelle delle auto ne Parco) e le mani che si aggrappano (come quelle dell’archeologo che riesce a salire…dal fondo di una parete).
In sintesi i giudizi (personali) per ogni ‘Missione’ (i paragoni vanno sulla serie): M.I. (1996) = 9 ; M.I.II (2000) = 8 ; M.I. III (2006) = 7- ; M.I. Protocollo Fantasma (2011) = 8,5 ; M.I.Rogue Nation (2015) = 7,5 ; M.I.Fallout (2018) = 7,5.
Regia congrua e avvolgente, disincantata e irruenta.
Voto: 7½ (***½)

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