Non un biopic, ma solo 72 ore nella vita di Amedeo Modigliani (Riccardo Scamarcio), Modì per i francesi: nel 1916 lo scapestrato pittore, nato a Livorno nel 1884, è in fuga dalla polizia, a Parigi; vorrebbe abbandonare la città dove è vissuto a lungo, mentre gli amici bohémien come l’artista francese Maurice Utrillo (Bruno Gouery), il bielorusso Chaim Soutine (Ryan McParland) e la musa e amante inglese Beatrice Hastings (Antonia Desplat), con la quale beve vino mescolato a funghi allucinogeni e consuma hashish, cercano di convincerlo a restare e a continuare a dipingere.
Attraverso una notte di allucinazioni e di incontri, con l’amico mercante d’arte, il polacco Leopold Zborowski (Stephen Graham) e con un collezionista americano, la sua storia cambia. Il progetto, basato sulla commedia teatrale Modigliani di Dennis McIntyre, nasce decenni fa, proposto ad Al Pacino, rimandato, sospeso, dimenticato, ritornato ora in auge, con il titolo Modì, tre giorni sulle ali della follia, con Johnny Depp alla regia, Pacino tra i produttori e nei panni del collezionista d’arte Maurice Gangnat, Mary e Jerzy Kromolowski alla sceneggiatura.
Depp, che dopo la prima a San Sebastián l’ha accompagnato in chiusura della sezione Grand Public della Festa del Cinema di Roma 2024, non dirigeva un film dal lontano 1997, quando con l’irregolare e slabbrato Il coraggioso (The Brave) si cimentò con il mondo degli snuff movie visto dalla prospettiva di un nativo americano di sangue cherokee, da lui stesso interpretato (all’attivo il lungometraggio, in seguito rinnegato e occultato di fatto da Depp per il mercato home video, vantava una delle ultime interpretazioni di un imbolsito e disfatto Marlon Brando, nei panni del regista dei film maledetti).
Per il suo ritorno dietro la macchina da presa, il popolare e amato divo statunitense trova in Modigliani un evidente alter ego nel quale specchiare i suoi personali tormenti di uomo e d’artista, sempre più rimasto incagliato, negli anni, nella maschera stereotipata del “maledetto” e del “bel tenebroso”, che pure ne aveva celebrato e accompagnato il successo a inizio carriera.
Ma del giovane malinconico di Edward mani di forbice del suo pigmalione Tim Burton non c’è forse più traccia, e al suo posto troviamo ora un uomo segnato dalla vita e dagli eccessi. Un sentimento del tempo e della vita che si ritrova anche in Modì, anti-biopic, come l’ha definito lo stesso Scamarcio, che all’abusata scansione temporale “dalla culla alla tomba” preferisce l’instantanea fugace e fiammeggiante dei tre giorni di follia evocati dal titolo.
Depp in qualità di regista esalta sufficientemente la fascinazione per l’ambientazione d’epoca, ma si concede molte concessioni rispetto alla filologia artistica e biografica di Modigliani, con un approccio “apocrifo” molto all’americana, che farà senz’altro storcere il naso ai puristi dell’artista e agli storici dell’arte di ogni ordine e grado.
Va però reso atto al divo statunitense di aver saputo evitare con classe gli inciampi più vistosi che la confezione kitsch, senz’altro marcata, poteva portare con sé in termini di chincaglieria e derive non irresistibili, e limitando così il rischio del trash ad appena due-tre sequenze (tra le quali il pur gustoso prologo e le sequenze con una Luisa Ranieri purtroppo fugace e sacrificata nei panni della locandiera). Scamarcio, dal canto suo, è molto in parte, tingendo di istrionia buffa e clownesca certi spunti già visti ne L’ombra di Caravaggio di Michele Placido, dov’era stato un altro grande maudit dell’arte italiana, e riuscendo a non sfigurare anche a fronte di un inglese talvolta un po’ meccanico nella scansione di certe sfumature. Da segnalare, sui titoli di coda, la sentita dedica di Depp a Jeff Beck, musicista e caro amico dell’attore scomparso prematuramente nel gennaio 2023.
Foto @ Modi Production Ltd
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