“Money Monster. L’altra faccia del denaro” (id., 2016) è il quarto lungometraggio dell’attrice-produttrice-regista di Los Angeles Jodie Foster.
La forza di arrivare fino in fondo alla storia per credere in una pellicola che non è compatta come si vorrebbe e che rischia molto tra il confronto dei tempi (i veri tempi e minuti) tra l’interno e l’esterno, i dialoghi televisivi e il dietro le quinte con ciò che avviene fuori tra telefonate, collegamenti, polizie, schermi e ritrovi davanti alla tv. Tutto in un susseguirsi che vorrebbe essere molto ben congegnato, intenso e in crescendo: certo le intenzioni ci sono tutte ma il gioco ha qualche intoppo e la tensione scema in battute che conosciamo e in un sunto da commedia di puro intrattenimento con sguardi, gag e mossettine in classe e stile da star.
“Pronto”, “Sono Bruce Lee…., no sono Gates…” Appunto… ‘artista marziale’ per un programma ‘soft-money’ (per comprare la serata e saper cosa trasmettere per un notiziario da riempire).
E ciò che vince è il genere in se piacevole e non stufa con due attori che si spalleggiano bene, la sanno lunga e riescono, nonostante una sceneggiatura incompiuta e un contorno non di prima linea, a reggere in uno schema narrativo para-cinematografico. Il vigore di ciò che si dice è solo dietro lo schermo televisivo che gira e ruota nel Paese a stelle e strisce. Un suono di
Mentre Bruce è in diretta la pistola e un colpo fa capolino, la paura dentro i soldi degli altri.
Opera di una certa dignità che non alza mai il tiro e cerca di piacere a tutti con un linguaggio virilmente stonato. “Sei una femminuccia” dice la moglie a Kyle in diretta televisiva, scaricandolo senza mezzi termini come una guest-star al rovescio (solo per sessantamila dollari!).. Tanto che Bruce dice al suo ‘amico’ con la pistola: “Pensavo fossi tu il ‘senza testa’…”
Nulla di più vero che i soldi mantengono su certi tipi di notizie e il falso regge il vero (o presunto tale) quando un conduttore fa del piccolo schermo un gioco compiacente e una virtù di sfogo per ogni idolo preso dalla strada. E’ la tv che fagocita il cinema, è il piccolo schermo che armeggia la finanza come il grande impugna una pistola plastificata. E il cecchino di turno è solo arma di buon cuore per una suspense in pantofole fino a quando il duo-tour cittadino porta la ‘grande-mela’ ai lati delle strada per serpenti in passeggio.
E come (non) detto il ‘Mambo’ sudafricano rovina la festa dei milioni per scioperi in salsa, azioni in compravendita e milioni di dollari che spariscono senza fuoco. Una televisione continua, un programma vivo, una diretta fino al sangue. Solo denaro, poca anima, tutto falso e irrimediabilmente inganno per molti. Ma la folla plaude e lincia: i mezzi termini finiscono quando il corpo è a terra (si riprende a giocare con la pallina in buca).
Youtube senza sosta fino al paradiso fiscale: divertimento, balletto, maschera, volgarità fino a un’incursione che segna il colmo di una vita in crisi e di un’attesa di rivincita. E’ ciò che desideri è un po’ di umanità: solo ammettere di aver sbagliato. Nessuno ti guarda più: l’eroe per poche ore è già finito e il giubbino indosso è solo finto. Finzione per finzione la finanza non è più in vena di sorridere (e ‘la grande scommessa’ appare un ricordo di sogni oramai disillusi): ciao ‘America!’.
Il mondo dello star-system può indurre a declassificare il tutto nel trio Foster-Clooney-Roberts per un film che ha un marchio di posizioni in anteprima per porsi alla visione del pubblico, ma, certo è, che la pellicola non sfugge a certi cliché di compiaciuti ammiccamenti per un gusto già confezionato senza sobbalzi o, dirsi voglia, respiri di alto gradimento.
George Clooney che impersona l’imbecille bravo presentatore e la Julia Roberts che suggerisce le battute sembrano il contraltare (rovesciato e forse spiritoso) di certe programmazione che furono (e che, anche, il Bel Paese ha ampiamente visto con ragazzine in prima fila e regia costruita): è la finanza, che bellezza!
La regia di Jodie Foster segue la linea comoda e di routine con strappi minimi e trovate il giusto per non farc(s)i cadere prima dell’arrivo.
Voto 6+/10.