Ha dei gusti precisi George Clooney, un certo palato: gli piacciono gli anni ’70, gli piace la New Hollywood, gli piace il cinema compassato, elegante, ben fotografato. E le storie di guerra – quasi da camino, con queste luci ambrate che scaldano e trattengono, fanno sembrare ogni inquadratura una vecchia fotografia. Monuments Men ha il passo lungo e comodo delle narrazioni di quegli anni: ricorda vagamente film come M.A.S.H. o Patton – Generale d’acciaio, nelle divise da vecchia sartoria, nelle acconciature impomatate, nelle scenografie colorate di fresco. E soprattutto nella colonna sonora, piena di marcette che accompagnano gli eroi nell’addestramento e nei pellegrinaggi militari, avanti e indietro per l’Europa quasi-libera su mulattiere e stradelle scarnificate dai bombardamenti. Il tutto però senza il piglio anarchico o l’epica marziale dei modelli citati. Il racconto vive invece in una dimensione intima, nonostante l’ampio pezzo di storia e di Europa che inquadra: Clooney si coccola i suoi protagonisti, procede per quadri/aneddoti, alterna gli attori/amici al centro dell’attenzione e il dramma con la commedia, senza spingere su nessuno dei due registri. Un’idea di scrittura e messa in scena che finisce piegata sotto il peso del casting (pazzesco): tutta gente che ha fatto la storia del cinema recente – come John Goodman e Bill Murray, o il Jean Dujardin di The Artist -, facce talmente iconiche e “socializzate” da avere ormai senso solo in film che riflettano sull’immagine e sul cinema stesso. Ne viene fuori – questo è il problema – un’opera un po’ blanda, quasi pigra, che vorrebbe essere una cosa, ma finisce per diventare un’altra. La storia è quella degli eroi per caso – professori, restauratori, curatori museali – che alla fine della Seconda Guerra Mondiale, con i tedeschi in disarmo ma ancora pericolosi, girarono il Vecchio Continente come un improbabile manipolo di soldati, per recuperare le opere d’Arte sottratte da Hitler ai paesi invasi con l’obiettivo di costruire e riempire un gigantesco museo a Linz. L’idea (sottolineata in più di un monologo, quasi delle didascalie da sussidiario) sarebbe di riflettere sul rapporto tra vita e arte, metterle sulla bilancia, dire che combattere per la sopravvivenza non può essere solo questione di eserciti da sopraffare, ma di identità culturale e tradizioni da proteggere. Il citato piacere cinefilo e del lavorare con gli amici restano però molto più evidenti. Siamo vicini alla mascherata. Non ci si commuove, si sorride con poca energia, e pur rispettando il progetto del Clooney autore-educatore si fatica a trovargli una collocazione più appropriata dell’ora di Storia di qualche scuola media illuminata.
Monuments Men: la recensione di Giorgio Viaro
Mi piace: il grande cast, alcuni momementi del racconto particolarmente gustosi
Non mi piace: le intenzioni sono buone, il risultato un po’ fiacco
Consigliato a chi: ama il cinema bellico hollywoodiano di inizio anni ’70
Voto: 2/5
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