Barry Jenkins scrive e dirige il suo primo lungometraggio, Moonlight, candidato a 8 premi Oscar nella ormai prossima edizione che si terrà il 26 febbraio. Nonostante, quindi, le buone premesse, il film risulta piatto e sterile e la storia del protagonista non mostra oramai nessuna originalità. I dialoghi si adattano bene alla realtà trasposta rivelandosi dunque abbastanza elementari ed essenziali. Fotografia di James Laxton (Tusk; Yoga Hosers). Musiche di Nicholas Brittel (La grande scommessa; Free State of Jones; il prossimo Ocean’s Eight). Impalpabili le interpretazioni dei tre attori che impersonano Chiron nelle sue diverse fasi di vita (Alex Hilbert, Ashton Sanders, Trevante Rhodes).
In un sobborgo di Miami cresce Chiron, un afro-americano soggetto ad un ambiente fatto di violenza, droga e prevaricazione. Il ragazzo cresce senza un padre e con una madre (Naomie Harris) tossicodipendente che non si prende cura di lui. Inoltre, fin da giovane Chiron subisce quasi quotidianamente atti di bullismo propri di una realtà degradata ed è con questa che, crescendo, sarà costretto a confrontarsi oltre che con una lotta interiore attraverso cui cerca di conoscere sé stesso e la sua sessualità.
Il regista Barry Jenkins mostra con Moonlight uno spaccato di vita americana al cui interno si muove a passi incerti la figura del giovane Chiron, la cui storia e contenuto sembrano aver particolarmente colpito l’Academy, da sempre “sensibile” a certe tematiche sociali. Certo è che dopo la visione ciò che si esclama è un enorme “Bah!”, dal momento che non ci troviamo né di fronte ad un capolavoro (questo direi che è assodato) né ad un buon film (secondo me, modesto essere umano). L’opera, dall’inizio, pare assumere i contorni di un documentario incentrato sulle fasi salienti di vita di Chiron e del suo lento, e nemmeno definitivo, scoprire sé stesso. A parte la limitata conoscenza della timida personalità del protagonista e del degrado in cui purtroppo è costretto a vivere (questioni che vengono fuori fin da subito), il film, durante tutto l’arco della sua durata, non ci racconta praticamente null’altro. Non c’è una svolta decisiva nella vita del ragazzo, il quale si lascia, ed è comprensibile, spersonalizzare dall’ambiente gretto che lo ha sempre circondato e bombardato con pregiudizi e abusi. Chiron cresce e diventa egli stesso quell’ambiente meschino; rinuncia a sé stesso e alla sua vera natura sessuale per assumere la vuota e confortante apparenza delle degradate figure che ha sempre avuto come riferimento. Egli si sente libero di esprimersi soltanto nei confronti dell’unica persona che reputa amica, Kevin (André Holland). Il film soffre, dunque, della passività del protagonista, trasmessa a sua volta al pubblico a cui è consentito anche distrarsi (fare una capatina al bagno ad es.) e ritornare dopo qualche minuto alla visione della pellicola senza il timore di aver perso qualche passaggio rilevante o decisivo ai fini dello sviluppo della trama (quindi non trattenetevela!). Il protagonista, inoltre, a cui è dato intero spazio, non può risultare così bidimensionale. Sì, è vero, è prima di tutto Chiron stesso a non voler affrontare la sua interiorità e così facendo la tiene costantemente nascosta anche a chi guarda. In definitiva, Moonlight è la storia di un ragazzo comune raccontata con eccessiva superficialità e nessun nuovo messaggio da tramandare ai posteri.