Bene, molto bene direi. Questo film rappresenta in maniera asciutta, quasi cruda direi, uno dei mali che hanno da sempre fatto riflettere il genere umano: la depressione. Cosa succede quando una persona di successo si ritrova a dover combattere con ogni mezzo contro questo ‘essere oscuro’, fino a farlo soccombere, a dover abbandonare la famiglia che si sta sfasciando, la sua attività che si sta sgretolando, tutti i principi sui quali aveva costruito la sua vita (dalla carriera agli affetti)che stanno svanendo, come neve al sole? Mel Gibson, tornato a recitare dopo le pesanti critiche sulla sua vita privata,ne è un degno rappresentante. Un dirigente di una casa produttrice di giocattoli che piano piano vede naufragare la sua vita e che non riesce affatto a reagire, solamente a dormire. Dormire e basta. Solo un giocattolo lo potrà salvare, un peluche col quale potrà far dialogare l’altra metà della sua personalità, quella combattiva, quella assetata di potere e soprattutto di cambiamenti. Cambiamenti radicali, dalla famiglia al posto di lavoro. Il risultato per un pò si vede: la gente (compresi i membri della sua famiglia) rimane inizialmente sconcertata ma poi si assuefà alla presenza di questo peluche che sembra vivo, così vivo da farsi chiamare appunto ‘Mr.Beaver’. E’ lui che comanda adesso, è lui che scandisce la vita del suo possessore. Dagli affetti familiari fino agli impegni lavorativi. Lui dice cosa fare, cosa mangiare, cosa dire e come pensare. E se il suo padrone cerca disperatamente di chiedere aiuto allora succede il finimondo perchè questo non è possibile, nè contemplabile. Lui e SOLO lui ha il monopolio della vita del suo possessore e se qualcosa esce dal suo schema, è un guaio. Una sceneggiatura che sembra uscita da un racconto di Matheson o di Dick, serrata e per niente appesantita con la solita retorica esistenzialista. Una colonna sonora a metà fra il country e il classico tema musicale impegnato, un crescendo (perchè tutti si chiedono come farà a vivere questo personaggio in preda ad una depressione acuta che tenta di guarire grazie ad un peluche che ‘parla’, ma non si tratta altro che di lui, del depresso cronico in fondo)che porterà il protagonista (Gibson appunto) al gesto estremo, tagliarsi il braccio che regge il peluche, abbattere la barriera, il divisorio che lo fa parlare come vorrebbe ma che non può dimenticare chi gli sta intorno, chi gli vuole bene e sta facendo di tutto per non farlo naufragare nella sua mente instabile: la sua famiglia, compreso il figlio che si rifiuta di prenderlo in considerazione per via di quell’atteggiamento da attore comico. Walter Black (questo il nome del personaggio interpretato magistralmente da Gibson)ne esce menomato ma guarito, perchè si lascia aiutare da delle persone, in carne e ossa, e non dalle sue paure. Brava Jodie (Foster), bel colpo.
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