Museo - Folle rapina a Città del Messico: la recensione di loland10
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Museo – Folle rapina a Città del Messico: la recensione di loland10

Museo – Folle rapina a Città del Messico: la recensione di loland10

“Museo. Una folle rapina a Città del Messico” (Museo, 2018) è il secondo lungometraggio del regisa-sceneggiatore messicano di Alonso Ruizpalacios.
‘La morte è la grande compagnia….’, ‘La morte è il grande eterno…’
‘Quando qualcosa non c’è più ti accorgi di quanto ti manca’.
‘Papà sono un ladro. Si sono un ladro. Sono io’.
Museo in un documento (familiare e di fughe) racconta l’appartenenza a e la cialtroneria, i destini e le vigliaccherie insiste in cervelli poveri di idee e alquanto beceri del nulla vicino. Un fuori testa senza senno e senza senso alcuno. La cultura di un popolo e la balordissima opera di due ragazzi completamente fuori di testa e scemi litigano per non conoscersi mai. Il fiume delle speranze vane e di ambienti parentali lontani da certe fustigazioni e notizie televisive.
Film di commistione tra storia di un paese, gesto scriteriato e riunione famigliare.
Tutto incorniciato tra un Natale da vivere insieme, dei gesti semplici e dei genitori e parenti che non aspettano altro che aprire i regali. Ma un figlio come Juan non ha la testa lì ma altrove. Vuole vivere dell’espediente massimo una rapina al Museo Nazionale di Antropologia per prendere dei pezzi rarissimi e rivenderli per molto denaro. Tutto questo al suo amico di infanzia Benjamin. Si incontrano da sempre, da quando sono nati al ‘solito posto’. Anche quella notte a mezzanotte esatta si devono vedere al solito posto. Juan prende la macchina del padre. Ed ecco che il luogo musicale diventa adito alla storia reale di un mondo antico.
Siamo di fronte ad un racconto di un fatto realmente accaduto nella notte tra il 25 e il 26 dicembre del 1985. Due studenti fuori regola, fuori corso, con poca voglia di lavoro poca voglia di aspirare a qualcosa , poca voglia di ingegnarsi, riescono a sbandierarsi una follia di una rapina senza senso e con minima accortezza logica. Tutto riesce, tutto sembra andare bene, il loro regalo o meglio i loro regali sono da incartare per portarli fuori dal museo. Pezzi di vera storia, maschera unica, vasi senza prezzo e moltissimi oggetti invidiabili di bellezza e rarità assoluta.
La balordaggine arriva durante ma soprattutto dopo. Ragazzi senza sennò che vogliono fare notte di sesso estremo ma senza protezione alcuna. Rubano L’impossibile ma dopo non sono protetti da nulla o quasi. La tv è lì a dare notizia, Juan ascolta a casa sua come se fosse estraneo mentre il padre inveisce contro questi ladri senza nulla addosso. Una vergogna nazionale. Il figlio è lì, il ladro è accanto, il coglione senza esagerazione è lì nei suoi pressi come un deficiente di anticultura messicana.
Il bello o meglio il brutto è vendere il tutto. Juan e Benjamin ci mettono tutto l’impegno. ‘Ma cosa volete…un milione….’ ‘Non hanno prezzo perché non si possono vendere….sono inestimabili’. Non si rendono conto di una balordaggine assoluta.
Il Messico trova in questa storia tutta vera l’encomio massimo della pochezza della loro stessa vita raccontata dai loro avi. Il museo nazionale aperto, rotto, derubato è narrazione di aprire il vuoto narrativo di una storia non conosciuta. L’avidità, il successo becero, il denaro senza gusto portano a fare delle scemenze di ragazzo senza volto e senza una fisionomia di vita. Il loro solito posto, di Juan e Benjamin, è il solito posto del nulla-fare dei nulla facenti e del non rispetto di tutto. Il paese è de-costruito e spremuto di ogni supidità da una rapina veramente folle.
Gli schiaffi del padre e il pianto amaro della madre a Juan danno il senso vero di un fallimento totale. È il bacio della violenza interiore. Amare un figlio e forse aiutarlo a farlo capire. Il ridonare tutto…il ridare tutto per la ricompensa anche lì solo per denaro. Avidità e basta. Chi sa se il padre agisce per il figlio o per senso di colpa?
L’ultima inquadratura con la musica altissima e roboante mentre tutto attorni i poliziotti….è l’emblema di un cinema importato della vicina America….quella riccona che non bada a spese. Il Messico si specchia con se stesso parafrasando con il genere cinema come emblema di una cultura che non si è mai sotto(sopra)valutata. Cinema di accerchiamento e maschere di culture da ritrovare per tutti. Un fermo immagine finale che colpisce per l’alto(basso) profilo del gioco cinema.
Il film del cineasta messicano colpisce per la frammentarietà del racconto e per l’accurata scelta di alcuni posti. La provincia poverissima, il degrado culturale, i personaggi incidenti, le Adidas come prezzo giovanile e le teste vuote di ogni senso di civiltà.
Gael Garcìa Bernal -attore a tutto tondo- (Juan Nunez) e Leonardo Ortizgris (Benjamin Wilson) coppa da faccia da perdere con il Juan cazzaro e instupidito del nulla facente. Segni giusti e architetture oblique. Basta vedere gli incontri con il cosiddetto intermediario e il probabile acquirente. Dialoghi surreali, massimi e movimentati.
Voto: 7/10 (***½).

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