Non c’è scampo per il found footage, nato male e proseguito peggio. “Formato che se da un parte sembra voler assurgere a genere vero e proprio, dall’altra spesso e volentieri mette in luce una sconfortante pochezza creativa e un reiterato e furbo puntare a far cassa con il minimo dispiego di mezzi.” Non potrebbe essere altrimenti se si precisasse ch’è un sottogenere dei teen movie: registi giovanotti, pubblico coetaneo, idem i protagonisti, anche nel caso come questo in cui non se ne coglie una giustificazione intrinseca. E lasciare alla loro inesperienza un materiale come quello dell’ermetismo alchemico non può che provocare disastri. Reclutamento raffazzonato, catacombe, sette occulte, quesiti archeologici risolti nel tempo d’un brainstorming fra Indiana Jones e Lara Croft, cadaveri incorrotti di crociati, spiriti e presenze arcane, paranormale, menefreghismo assoluto sia verso gl’amici morti che verso i pericoli in agguato. Conoscono a quale profondità (metri? piedi?) si trova l’inferno e decidono di visitarlo sfidando pure il monito dantesco. La pietra filosofale acquisisce via via nuovi significati: mutamento dell’inorganico, dell’organico, percorso di redenzione da record di corso psicoterapico post-traumatico, stanza del tesoro aureo, amore salvifico. Nel dubbio rivolto al proprio target, i Dowdle non gli fa mancar nulla e lavorano per accumulo abborracciato. Gli spettatori di bocca buona continuano a gradire.
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