Dopo il successo record riscosso dalla commedia Giù al Nord (divenuto in Francia il secondo film più visto di sempre dopo Titanic) era logico aspettarsi un “bis”. Se l’Italia ha preso la strada del remake con Benvenuti al Sud e, visti gli ottimi risultati, ora prosegue con il sequel Benvenuti al Nord, in patria Dany Boon, regista e protagonista di Giù al Nord, ha deciso di replicare la formula con un film tutto nuovo. In Niente da dichiarare? Boon cambia personaggi, trama e ambientazione, ma ripropone la dinamica risultata vincente dell’incontro-scontro di due popoli/culture vicine. Se in Giù al Nord si giocava in casa con una commedia sui pregiudizi dei francesi del Sud hanno nei confronti di quelli del Nord e viceversa, questa volta si varca il confine, espatriando in Belgio. I dissapori tra gli abitanti di quest’ultimo e quelli della vicina Francia prendono forma attraverso i personaggi di due doganieri “dirimpettai”: l’integerrimo e francofobico Ruben Vandervoorde (Benoît Poelvoorde), più ostile ai francesi che ai trafficanti di droga che tentano di varcare il confine, e il più mite Mathias Ducatel (Dany Boon). La miccia è innescata quando, in seguito all’apertura delle frontiere il primo gennaio 1993, gli uffici doganali vengono chiusi e i due si ritrovano a dover lavorare gomito a gomito per sperimentare la dogana mobile a bordo di una scassatissima Rénault 4.
Il rischio che storie come queste inevitabilmente corrono di rimanere fortemente “localizzate”, parlando solo agli spettatori direttamente coinvolti è scongiurato. Senza candidarsi a diventare un film da manuale o in grado di suscitare l’interesse del precedente di Boon, Niente da dichiarare? ha dalla sua il merito di riuscire a parlare di un argomento sempre delicato e ostico come il razzismo mantendosi sui binari della commedia e senza scivolare mai sul crinale sottile della “lezioncina morale”. I personaggi sono ben interpretati e lo script, seppur ingenuo e un po’ elementare in certi passaggi, funziona dall’inizio alla fine. Il film si regge soprattutto sulle spalle di Poelvoorde, che con il suo belga violento e sopra le righe poteva rischiare di suscitare l’antipatia dello spettatore fin dalle prime scene e che riesce invece a far sorridere delle sue debolezze, spingendo poco a poco all’indulgenza. Lo apprezzerà soprattutto chi ha amato molti personaggi di Louis de Funès, come lo stesso Poelvoorde ha dichiarato, ricordando come: «Recitare tutti quei momenti pervasi da cattive intenzioni e codardia sembrava fatto apposta per me!».
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Mi piace
Il tono leggero che la commedia riesce a mantenere parlando di un tema serio come il razzismo, senza fare mai la morale.
Non mi piace
La sceneggiatura in certi passaggi è ingenua e alcuni personaggi risultano delle macchiette.
Consigliato a chi
Ha amato film come Giù al Nord e Benvenuti al Sud.
Voto: 3/5
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