1988. Pinochet, sotto la pressione dell’opinione pubblica internazionale e di svariati governi occidentali, decide di indire un referendum per vestire di consenso popolare la sua dittatura. Votare Sì significa ratificare la dittatura, votare No significa chiedere la democrazia. Inizia la campagna elettorale, e la faccenda si fa ancora più interessante: ogni sera, per un mese intero, i comitati del Sì e del No (ovvero i partiti dell’opposizione, obbligati fino a quel momento alla semi-clandestinità) avranno 15 minuti a testa sulla TV pubblica per la campagna referendaria. La vittoria del Sì sembra annunciata: un po’ per abitudine, un po’ per interesse, e molto per paura, la maggioranza dei cittadini è pronta a confermare Pinochet. Quei 15 minuti quotidiani sono visti dal comitato per il No semplicemente come una finestra senza precedenti per denunciare gli abusi del regime. Almeno fino a che non arriva René Saavedra (nel film interpretato da Diego Luna), pubblicitario di professione, abituato a promuovere telenovelas, creme di bellezza e giocattoli: e se vendessimo la democrazia come vendiamo la Coca-Cola, con i jingle, gli sketch comici e gli slogan orecchiabili? E – alla fine – democrazia fu.
Storia incredibile ma vera, edificante, che fa bene al cuore e soprattutto suggerisce strade diverse al progresso sociale: le rivoluzioni si possono fare con le armi, ma anche con il linguaggio (sul serio, in concreto!). Saavedra applicò quello pubblicitario alla sfera politica, intuendo che non si poteva convincere persone spaventate a fare una scelta che le spaventava ancora di più, utilizzando come veicolo proprio la paura che il regime incuteva (e quindi le violenze di piazza, le torture, i pianti delle madri). Quello che bisognava “vendere” era un futuro luminoso, non un passato tragico: l’allegria, e non il dolore.
Questo commovente spicchio di storia è raccontato dal fenomenale Pablo Larrain (già autore di Tony Manero e Post Mortem, entrambi sulla storia recente del suo paese) usando il linguaggio delle telenovelas sudamericane di quegli anni, tanto che all’inizio vi sembrerà tutto uno scherzo: formato 4/3, contorni mal definiti, ombre rosate… L’effetto è straniante ma coerente, perché ancora una volta mischia linguaggi differenti – cinema e fiction televisiva -, per giunta sfasando i piani temporali. Bello, e pure importante.
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Forma intelligente, contenuto prezioso, narrazione scorrevole: andate a vederlo porca miseria!
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Qualche concessione alle stereotipizzazioni dei film politici progressisti
Consigliato a chi
Consigliato a cinefili, curiosi, scolaresche, e chi più ne ha più ne metta
Voto: 5/5
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