“(007) No Time to Die“(id., 2021) è il quarto lungometraggio del regista-sceneggiatore californiano Cary Fukunaga.
James Bond vive, raddoppia, si ripensa, ci ripensa, si salva, si mummifica e oniricamente si cuce addosso il vestito della quiescenza smoking-amente, dell’eterno umano.
Epilogo forviante, voluto e stoicamente immolante per un personaggio che beve drink a destra e sinistra e con le rughe con polveri e sangue si accomoda tra i mortali del passato che ritorna.
Una bambina sotto il ghiaccio che tende le mani, si salva solo in un modo, dopo anni esce fuori dall’acqua una donna-girl mentre si avvicina l’eroe creato da Ian Flemimg.
Solita domanda: ‘Tutto a posto?’. Ci mancherebbe … tranne il passato.
Il corso degli eventi si snoda per oltre centosessanta minuti tra ricordi, parole, fughe e desideri nascosti e confessioni rimandate per un nome ricorrente che da ‘Spectre’ arriva in ogni posto fino all’isola ultima. Il posto di Safin dentro una base della Seconda Guerra Mondiale.
L’effetto ‘Squalo’ (1975) e ‘Poseidon’ (1972, remake 2006) con l’ansia del respiro sott’acqua, il bosco-scenografico di ‘ET’ (1982), la caccia de ‘Il mondo perduto. J.P.’ (1997) è evidente anche ai più sprovveduti. Infatti ad un certo punti la successione degli inseguimenti, le virtuose movenze sceniche e il gioco terra-aria sembra ricalcare in tutto e per tutto il ‘parco’ pieno di dinosauri con la caccia-grossa dell’uomo pieno di sè e il ‘tirannosauro-aereo’ che domina la ripresa. Poi quando Bond entra in auto con Madeleine e la bambina ….manca solo John Hammond (in regia) a tenere il ‘gioco’ miliardario per i discoli che pensano di scherzare senza farsi un graffio e avere un minimo di paura. Basta ‘non toccare niente’ ….’..vero piccola?
‘Ti racconto una storia…….il suo nome è James Bond’.
Epilogo e incipit diversi e uguali, contrastanti e simmetrici.
L’incipit, oramai consolidato (lungo e attraente) prima dei titoli di testa e l’immancabile ‘canzone’ sotto disegni, cartoon, figure digitali e forme sinuose, arriva di corsa e di fretta in una ‘Matera’ dolcissima e appetitosa, antica e forte dei sassi che furono, delle vie e scalinate di corse furibonde (tra un gregge e una santa processione). Un Bond che s’intaglia tra le mura e i visi del Sud (patrimonio unico). Luci e cieli ammantano le riprese con una fotografia ‘nitida’ e ‘scolorita’. Una tomba, uno scoppio e tutto ‘ricomincia’.
In un finale rabbuiato dove il contorno è una sparatoria continue, le folgori delle luci che si aprono a chiosa di un fuoco distruggente, annienta il mito o innesca la mitologia di attesa. I nove minuti quasi di reale attesa dal lancio dei missili. Il vice ministro approva, M da l’ordine ma è lo 007 in pensione (o quasi) a ordinare (e a dirci) che tutto sta per finire.
Il fragore biancastro e lucente dello schermo, il brindisi (immancabile) mesto con un bicchiere al centro (ancora a metà da sorseggiare), l’auto che sfreccia (in un meridione sfavillante) con la mamma che racconta alla figlia o meglio che inizia a raccontare ‘la storia di un uomo’. Ecco li finisce o inizia? E’ solo dejavu? O il virus ha colpito la sceneggiatura monca? Un baro destino per il venticinquesimo? Troppe domande come la vita di un Bond ansiogeno, stressato, contrastato. Si può pensare al trasferimento di modi e vezzi per un personaggio ‘alla James Bond’. Impensabile!?!? Il doppio 007 nella ultima ora può dire tutto e il suo contrario. D’altronde M appena vede il redivivo 007 (in pensione) dice ‘Pensavamo fissi morto’. (O no?).
Cast:
Daniel Craig (James Bond): ha impresso al ‘bondismo’ una svolta esistenziale e ha idealizzato il (suo-craig) marchio di fabbrica; Sean e Daniel lontani ma essenziali nella ‘licenza di uccidere’; lo sguardo dell’attore di Chester ha rigenerato il ‘Martini’ drink e reso tenebrosa l’esistenza (della bella vita); come sempre bravissimo, vale il biglietto; Rami Malek (Lyutsifer Safin): inespressivo trucemente nero, cattivone sagoma e viso che si ricorda; lo sguardo che ha pazientato una vita per la vendetta; Léa Seydoux (Madeleine Swann): sguardo ammiccante e dolcezza di mamma, si riparte da lei?; Lashana Lynch (Nomi): uno/a 007 cheforse (non) aspettavi, sguardo deciso e corpo bionico; Christoph Waltz (Franz Oberhauser / Ernst Stavro Blofeld): attore di razza, recitazione di sostanza e postazione esatta; Ralph Fiennes (Gareth Mallory / M): difficile personaggio (nonostante tutto) ereditato con un corpo non certamente vigoroso, quasi flaccido e uno sguardo toracico; il Ralph ‘sornione’ e ‘deciso’; Ben Whishaw (Q): il detonatore degli inghippi ‘informatici’, il romantico ‘bondismo’ mai perdente che aspetta l’ospite (gradito); Naomie Harris (Eve Moneypenny): persuasiva e filtrante, quasi un braccio destro; Rory Kinnear (Bill Tanner): giusto piglio e salomonico; David Dencik (Waldo Obruchev); Jeffrey Wright (Felix Leiter): l’amico di ritorno per l’ultima rimpatriata non senza pericoli; Ana de Armas (Paloma): a Cuba un incontro non casuale, decisamente ‘scaccia-nemici’ e veloce; Billy Magnussen (Logan Ash).
Musiche di Hans Zimmer: risvegliano e corroborano millimetri-camente la pellicola; fotografia di Linus Sandgreen: folgorante ma incupita, polverosa, ocracea, grigia, titubante.
Regia: altalenante, pop-maniaca, rituale.
(Sceneggiatura e regia hanno avuto traversie e passaggio di mano, con cambi e rifiuti).
Voto: *** (7-) -cinema meta.linfatico-