Non è mai troppo tardi: la recensione di Eddie Morra
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Non è mai troppo tardi: la recensione di Eddie Morra

Non è mai troppo tardi: la recensione di Eddie Morra

La “bianca” lista “fiume” dei desideri

Vite che scompariranno nell’alone impermeabile del Tempo, ceneri congiunte in “sposalizio” eterno, lassù, sulle vette dell’Himalaya, ove si ascolta il suono della Montagna o solo la voce di Dio.
Due Destini che s’incrociano al crocevia della morte. Due esistenze colpite dal cancro, che fraternizzano in ospedale, e uno dei due, per “catarsi”, scribacchia una lista di desideri e “follie” su un pezzo di carta, arrabbiato l’appallottola e la getta a terra. Il mattino dopo Edward, il “cane matto”, la raccoglie e comincia a meditarci su. Perché non metter in atto questa lista per uccidere i rimpianti di ciò che abbiamo sempre sognato ma non abbiamo mai trovato il coraggio, la voglia, la spinta o l’energia per darne concretezza, per far sì che il respiro si modulasse in libere, giocose ironie da “buffi vecchietti” in un’incantevole, ribalda, “tardiva giovinezza?”.
Comincia un viaggio, in giro per il Mondo, ma soprattutto nell’anima, nella corrente, un flusso ipnotico d’immagini negli “screzi” della memoria o nelle zone “buie” che la tradirono, tra posti favolistici, incontri bizzarri, concessioni sfrenate al divertimento che, oramai, non teme di morire, per non smorirsi nella glaciale paura di perderla, vita preziosa e unica che c’ha “addobbato” ognuno a modo proprio, ha propiziato momenti lievi, ilari, gustosi m’anche intensa nel rammarico d’emozioni che si stavan svanendo. E’ la morte a incitarci, a “dar spago” a vene dal sangue che ancor fischietta, si lacererà in altri dilemmi esistenziali, angosce su Dio, o sul suo mai “esserci stato”, o nella sua meravigliosa creazione che ammanta il Mondo delle sue variegate onde del Cuore, di tramonti su un’America “impigrita” o lamentosa dei propri errori, dei nostri inestirpabili tormenti nella foschia che s'”accecherà” incendiaria di nuovi palpiti, di una Luce malinconica dal sorriso poetico, una figlia “smarrita” per un nuovo abbraccio, verso la nostra inevitabile “fine”.
Moriranno ma sarà valsa la pena vivere e viversi, negli “ultimi” istanti di risorte passioni, in un’indimenticabile cena con moglie, parenti e amici, nell’ultima sguaiata risata “fino alle lacrime” per “riderci” su, di noi e di tutto, per un commovente addio laconico.

Grande Rob Reiner, magnifico Freeman, perfetto Nicholson anche nei suoi soprassalti “gigioni” ma sempre contenuti nella briglia di un’impeccabile classe da viveur, prima di tutto di una sopraffina, empatica, vissuta recitazione.

Scritto dall’abile e “furbo” Justin Zackham, amante della corrente emotiva, come ci ricorda il personaggio di Freeman nel suo “post” commemorativo nella sua lettera all’amico, prima di congedarsi.
Sarà un caso che Zackham inizierà presto, questa volta anche come regista, un altro film da lui scritto intitolato “Gently down the stream?”,

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