Non Lasciarmi: la recensione di Alessia Carmicino
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Non Lasciarmi: la recensione di Alessia Carmicino

Non Lasciarmi: la recensione di Alessia Carmicino

” We didn’t have The Gallery in order to look into your souls . We had The Gallery to see if you had souls at all . ”

Se volessimo trovare un’esperienza affettiva vicina a quella di ” never let me go ” di Mark Romanek , probabilmente ” espiazione ” di Joe Wright sarebbe il candidato ideale : lontane dall’identità narrativa o contenutistica le due pellicole respirano a pieni polmoni un’atmosfera cupa e deprimente , storie di vite che avrebbero potuto essere normali e felici e che invece sono state consumate troppo presto da un disegno già scritto che fino alla fine lo spettatore prega sarà spezzato e modificato , per poi assistere impotente a uno spettacolo impietoso e crudele .
Quando gli eventi non prendono forma in un lontano futuro tecnologico e si svolgono in un grigio presente , l’ inquietudine che porta con sè ogni realtà distopica da semplice proiezione probabilistica si avvicina , come raramente accade , a una spaventosa verosimiglianza : partendo da pluripremiato romanzo dello scrittore anglo-nipponico Kazuo Ishiguro , lontano dagli effetti hollywoodiani delle esplosioni mozzafiato di “the Island ” e dalle glaciali architetture dell’accademia spaziale di “Gattaca” con cui condivide le stesse prospettive scientifiche ,”never let me go” sceglie una fantascienza diversa e curiosamente “normale” , che con l’idilliaco collegio nella campagna inglese di Haisham nella prima parte del film ci aveva quasi fatto credere che stessimo guardando un ben confezionato british drama .
Sarebbe stato arduo capire il segreto nascosto dietro l’esistenza dei giovani Kathy , Tommy e Ruth se la loro insegnante Miss Lucy (un’intensa per pur breve interpretazione di Sally Hawkins ) non ci avesse aperto gli occhi : punte del più classico dei triangoli , i tre attraversano la spensieratezza dell’infanzia e i turbamenti dell’adolescenza fra gioie e delusioni come ogni altro coetaneo , finchè le linee che li descrivono non iniziano a convergere verso l’età in cui dovranno ” completare ” ; nello squallido ospedale dalle finestre tutte uguali è meglio andarsene dopo le prime donazioni piuttosto che essere svuotati e gettati via come polli in batteria .
La scelta di concentrarsi totalmente sul rapporto di odio/amore fra i protagonisti non fa svanire affatto l’agghiacciante scenario sullo sfondo , capace di scatenare i più ovvi interrogativi etici senza lasciarci nè una soluzione nè una speranza : cloni creati unicamente per fornire organi sani e in quantità inesauribile , educati all’ubbidienza e al rispetto delle regole al punto tale che persino aprire un cancello senza essere autorizzati può sembrare terrorizzante , alla continua ricerca di quell’originale che potrebbe aiutarli a definire un’identità e a capire il perchè del loro sacrificio , alieni in un mondo sconosciuto da imitare che per loro sarà sempre al di là di un vetro e che ha scelto di dimenticarli ; eppure , anche con la consapevole rassegnazione di non potere ( o non volere ) cambiare un destino di morte preordinato , è impossibile impedire l’umanità dell’odio e della gelosia , della rabbia e dell’amore , un sentimento da coltivare in silenzio e che incapace di costruire un futuro riesce solo a guardare indietro .
La malinconica colonna sonora della veterana Rachel Portman (che finalmente dopo tanto lavori sterili ci regala melodie uniche ed emozionati ) e la fotografia quasi monocromatica di Adam Kimmel dipingono alla perfezione la dimensione surreale e annientata , dove i ragazzi vorrebbero vivere invece di limitarsi a sopravvivere e che nelle delicate interpretazioni degli attori trova non semplici ombre di passaggio ma personalità di spessore : dall’urlo straziante dell’impacciato e irruento Tommy di Andrew Garfield , all’invidiosa e scavata Ruth di Keira Kightley , tutti si fanno però rubare la scena dalla fragile , dolce e mesta Kathy di Carey Mulligan (sembrano passati secoli da quando era la sorellina di Keira in ” orgoglio e pregiudizio ” ) ; quegli occhi umidi di pianto , pietrificati da un dolore inevitabile che avevano quasi iniziato a sperare per poi accettare che non ci sarà mai un domani , non riusciamo proprio a lasciarli andare .

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