È una delle tante notti anonime della quarantena quando il telefono di Irene (Barbara Ronchi) squilla. È Pietro (Claudio Santamaria), il suo ex. Irene non lo sente da mesi, da quando la loro storia è finita, tentenna, ma alla fine risponde. Pietro è fuori di sé e le sue parole confuse lasciano presagire un atto disperato. A Irene non resta che mettersi in viaggio, in una città spettrale, senza mai riattaccare, con la speranza di raggiungerlo in tempo.
Liberamente ispirato all’omonima opera di Alessandra Montrucchio, e presentato in questi giorni al Biografilm Festival, Non riattaccare è un efficace esempio di thriller tensivo, che usa la formula dell’intero film girato sotto forma di conversazione al cellulare e in macchina per creare un meccanismo di adrenalina, intimità, rivelazioni e mistero chiamato ad accompagnare lo spettatore dal primo all’ultimo minuto.
Dopo Tutte le mie notti, presentato nel 2018 ad Alice nella Città, per il quale Benedetta Porcaroli si aggiudicò il Premio Guglielmo Biraghi come giovane rivelazione dell’anno ai Nastri D’Argento, e il documentario Bice Lazzari – Il ritmo e l’ossessione, presentato nel 2022 alla Festa del Cinema di Roma, il regista Manfredi Lucibello è tornato dietro la macchina da presa per un nuovo film a tinte notturne, che non può e non potrà che suonare per molti come la versione nostrana di Locke, il film di Steven Knight (Peaky Blinders) con protagonista Tom Hardy nei panni di uomo, Ivan Locke, buon padre di famiglia e grande lavoratore, che alla vigilia di un importante impegno professionale riceveva una telefonata inattesa.
Sono passati ormai dieci anni da quel film che per 90 minuti, che coincidevano col tempo diegetico del racconto, ci metteva in osservazione e in ascolto di un individuo come tanti, giunto (forse) al capolinea della sua vita, incastrato dentro un minimale, ma non per questo non destabilizzante, esercizio di angoscia cinematografica e cinetica, a partire però da una condizione tanto di movimento e azione lungo l’autostrada quanto di stasi e prigionia all’interno dell’abitacolo dell’automobile. Un’idea, nel suo piccolo, straordinaria, che il film di Lucibello, che l’ha scritto a quattro mani con Jacopo Del Giudice, si è avvalso delle musiche di Motta e della produzione della Mompracem dei Manetti bros., ripropone in maniera quasi millimetrica, a partire dalla durata fotocopia.
La scrittura è in questo caso piu grossolana dell’illustre precedessore, con più di una forzatura e incongruenza in questo viaggio al termine della notte consumato “abusivamente” in pieno lockdown, ma l’effetto è miracolosamente, ugualmente efficace. Un po’ perché laddove si ferma la scrittura arriva sempre la regia, con le sue inquadrature sensibili ed elettriche sul piano della fotografia e della composizione formale, un po’ – o per meglio dire soprattutto – perché Barbara Ronchi si conferma, con questo ruolo indimenticabile nella filmografia di un’attrice – uno dei talenti più maiuscoli e metodici del cinema italiano contemporaneo.
Dopo il David di Donatello vinto con Settembre di Giulia Steigerwalt, ecco un’interpretazione completamente diversa ma di eguale, complementare intensità tutta femminile, capace di declinare i tormenti e i sussulti della sua Irene in una gamma vastissima di espressioni, situazioni, sfide recitative e tour de force attoriali vissuti molto spesso anche in primo piano: qualcosa da restituire collocandosi direttamente nell’epicentro dei fantasmi e del vissuto travagliato di questa donna, ritrovata di suo malgrado vittima di un road movie assediato dalla minaccia invisibile e ancora fresca nelle nostre menti del Covid-19.
Al termine della proiezione ufficiale al Torino Film Festival, dove il film è l’unico italiano in Concorso e la Ronchi si è aggiudicata una menzione speciale come miglior attrice – il premio è andato all’interprete francese di origini tunisine Hafsia Herzi per The Rapture (Le Ravissement) di Iris Kaltenbäck –, Santamaria, che nel film è interprete pressoché esclusivamente vocale e da remoto, ha scherzato dicendo che aveva saputo che il film era piaciuto a Paolo Mereghetti, maggiore critico cinematografico italiano e firma del Corriere della Sera, cosa della quale si è professato assolutamente stupito: «È la prima volta che gli piace un film in cui recito! Forse perché non mi si vede mai…».
Foto: Mompracem, Rai Cinema, Rosebud Entertainment Pictures
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