“Non sono un assassino” è il quarto lungometraggio del regista di Sassuolo Andrea Zaccariello.
In un cinema italiano propenso alla facile commedia senza succo ecco qualche pellicola che cerca di farsi strada. Tratto dal libro omonimo di Francesco Caringella, il regista emiliano propende a scombinarci le carte, giocando sui volti, le fatture, i ricordi e le amicizie. I rapporti tenui e mesti, feroci e stantii, cupi e miseri. Le bugie e le verità, in questi casi, si intrecciano per un risvolto finale (in)aspettato o forse minimamente previsto. Il racconto è sempre avanti-dietro nei tempi e tende a dileguarsi per farci perdere rischiando di dare compattezza al tutto.
Il thriller diventa psicologico rivolto allo spettatore senza una vera e propria ‘indagine’ ma solo uno scontro di interrogatori e di vicende alterne tra ragazzi di compagnia e un omicidio senza un perché.
Una mattina piovosa, un freddo corporeo e un colpo di pistola lasciano il Sostituto Procuratore Giovanni Mastropaolo senza vita da un’omicida volato e senza traccia. La morte genera sospetti verso la criminalità e la camorra pugliese ma i modi sembrano strani e le accuse ricadono sul Vicequestore Francesco Prencipe amico di vecchia data del Procuratore.
Il crimine sembra tutto che efferato, quasi un conto in sospeso, una legge che si spezza, un gioco tragico che da ragazzi passano ad adulti. Il vicequestore cerca di difendersi in tutti i modi chiamando il suo amico avvocato Giorgio (Edoardo Pesce). E contro la pm (Claudia Gerini) che non vede altro che la colpevolezza. Ecco che gli interrogatori, i ricordi, le notizie, le amicizie, i rimandi temporali, i puzzle continui e i lividi psicologici si arrovellano attorno al fatto in se. I sogni di ieri e i fatti odierni si scontrano continuamente senza smascherare esattamente i volti di ciascuno (o meglio facendoli chiudere in un crogiolo di situazioni menzognere e falsificanti). Chi dice il vero? Chi conosce chi? Chi c’era veramente la mattina nello studio di Mastropaolo?
I personaggi sono ben delineati e anche statuari con un Francesco Prencipe (Riccardo Scamarcio) ermetico, scorbutico, mentore di se stesso e introverso quanto basta. Un modo di recitare che sta cercando di mettere a frutto con film recenti (più o meno riusciti) quali ‘Loro’, ‘Il testimone invisibile’, ‘Euforia’, ecc.
La consistenza e la drammaturgia non sempre raggiungono livelli sperati perdono qualcosa nei continui flashback: una sceneggiatura ondivaga o meglio che cerca di centrare il colpo di quello che il passato può nascondere a tutti (tra facezie, nullità e incontri giovanili ora fortuiti ora cazzeggianti); certamente non siamo dalle parti di un Eastwood di ‘Mistic River’ o di un Leone di ‘C’era una volta in America’, né tanto meno nella forza strutturale di uno Scorsese (inarrivabile) per rappresentare l’angoscia e il vile mondo di un passato che schiuma rabbia e genera passione narrativa.
Pur tuttavia il film di A. Zaccariello fa un tentativo non da poco per una storia di genere per rappresentare lucidità, verità e falsità di ragazzi e del loro presente. Giovanni, Francesco e Giorgio si ritrovano spesso e, alla fine, uno contro l’altro. Fu amicizia? Fu soltanto una vita mai conosciuta? Ecco che il volto di R. Scamarcio schiuma rancore vario per fidarsi del suo avvocato perdente Giorgio. Viltà e verità falsata, livore e giustizia casuale: il clamore arriva più o meno bene.
La farsa di un teatro vivente in una tragedia di un poliziotto pieno e con una faccia segnata. Il cartellone, il titolo e il volto sono idiomi di un clamore nella storia che si può leggere e che non accenna a dipanarsi nonostante il regista e la storia vogliono dare confusione allo spettatore. I tempi, in questi casi sono importanti, dalle otto meno dieci alle otto e dieci, la distanza, una moto, un’auto che sfreccia, un testimone incerto, un segnale orario e la sigla del gr1. Sembra tutto in sintonia.
L’avvocato, Giorgio, imbranato, sempre brillo, che beve Rosso Antico, inconcludente e, pertanto, perdente, chiede al suo ‘amico’ poliziotto : “perché hai scelto me”. La risposta è certa ma titubante, sicura ma misteriosa. Un dialogo breve dopo il processo e la sentenza poteva essere la vera scena madre…ma rimane tutto lì, e forse superficiale, per tutto quello che c’è dietro, le loro vite, la loro giovinezza e i flashback quasi evocativi di un cinema che respinge il genere in toto per essere uno psico-dramma sui rapporti amicali e sulla frantumazione di valori in base ai tempi.
Il colpo di pistola ravvicinato, il movimento breve, lo sguardo arcigno e l’emblema di un cinema tv mai vinto e di una ripresa (forse stereotipata). Ma il colpo da maestro dello specchio (di ‘argentana’ memoria, vedasi ‘Profondo Rosso’) e di un fascicolo apostatato chiedono aiuto per un finale che ‘recita’ bene.
Cast riuscito nei personaggi tutti. Una migliore scrittura avrebbe certamente dato linfa a tutti con un Riccardo Scamarcio in giusta posizione di ruolo. Luoghi e ambienti che si ricordano: da solare a cupa, da focosa a fortemente ingrigita la fotografia.
Regia lineare e andante, sorniona(mente) e ammiccante.
Voto: 6½/10 (***).