Nostalgia: la recensione di loland10
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Nostalgia: la recensione di loland10

Nostalgia: la recensione di loland10

“Nostalgia” (2022) è l’undicesimo lungometraggio del regista-sceneggiatore napoletano Mario Martone.
“Vattene!”, “Ma perché lei resta qua?”. Non c’è risposta.
Don Luigi va via e Felice rimane a pensare. Vedi Napoli e poi muori.
Un film di luoghi e posti da riguardare e rivedere. Da riconoscere.
Per riappropriarsi del suo passato adolescenziale Felice ritorna con fatica indietro, poi mano a mano il suo mondo riappare, si tocca nella memoria e dentro il suo corpo. I flash back sono amari e dolci come ogni cosa da fuga del passato e mai persa completamente
Notturni e notti. In una Napoli dove di rituale c’è poco si ode il rumore del buio. Nel Rione Sanità tra traffico di auto e suoni minimi, i volti s’affacciano da finestre e da balconi chiusi. Ma il volto del nero attutisce tutto e nasconde la camorra dentro ogni stanza. Il passo del ritorno è diverso. Accarezza e tocca i muri, come preme qualche campanello che ha già visto..
Oreste, amico da ragazzo fino a 15 anni, è l’altro se stesso da voler incontrare dopo 40 anni; un confronto per un omicidio lontano e un incontro per chiarire. Don Luigi dice sempre di stargli lontano, ma Felice è ‘capa tosta’ e vuole farlo e gli racconta a conti fatti. Ho detto che voglio restare a Napoli. “ E lui?…” chiede il parroco. Ma le risposte definitive non arrivavano mai.
Studiare di nuovo il territorio del Rione che ricorda a sprazzi. Ma ogni giorno in più quello che porta dentro si apre. E il destino dice di rimanere. Non andarsene. Sente la parola ‘vattene’ più volte. Da Don Luigi, da Oreste e dal suo conoscente artigiano. Vattene, tutti vogliono la stessa cosa. Ma l’uomo sposato aspetta la moglie e prende casa a Napoli. Contratto firmato, ristrutturazione iniziata l’indomani arriva lei da Il Cairo.
Tragedia e dramma. In un film dove il sorriso non si vede. Labbra strette e socchiuse, ambienti e vicoli schiacciati, corse e moto a schermo ridotto, anni passati sbiaditi, una spiaggia e nudi in mare, passeggiate e ritrovi, porte e vecchie scalinate; i rumori di fondo come fendenti;
Al piano terreno. Sua madre è lì chi aspetta. Dal terzo piano dove Felice pensa di trovarla. Li abitavano anni addietro. Il figlio suona. Una donna minuta apre. Con una ripresa fissa e laterale, l’incontro madre figlio è commovente ma trattenuto, dolce ma composto, di sguardo e di tenero abbraccio. Felice e le mani secche che ritrovano carne viva dopo tanto tempo. ‘Perché casa nostra e’ occupata da altri?”. La madre con voce flebile….”Qui non manca niente”.
Luigi, il parroco, prima vede il ragazzo cresciuto in strada, poi Felice si avvicina in chiesa e al funerale della mamma è tra i banchi con pochissime altre persone; senza un segno della croce; il commiato è uno sguardo verso ragazzi seduti di fronte, duro e deciso, mentre sale sull’auto con il feretro della madre;
Girovagare tutto quello che aveva calpestato è sotto i suoi piedi; il desiderio di ritrovare una vita sconosciuta e lontana; riappropriarsi di un quartiere per ricominciare con Napoli e le sue cose da toccare. Con una ‘nostalgia’ che si deposita, piano piano, con una goccia alla volta, in un animo perso, dubbioso, scosso, silente e pieno di coraggio.
Incontro e scontro. Fino a vicoli bui e tenebrosi. Un cappuccio, un volto coperto.
Oreste chiama Felice a bassa voce. Il respiro si ferma. D’improvviso il corpo cade. Le mani aprono un portafoglio. Denaro e in mezzo una foto con una moto e due ragazzini. Ecco che Oreste si alza e con passo sicuro si ritira nel buio del vicolo. E lo schermo diventa nero con Nostalgia.
Arrivare a Napoli. Per conoscerla per sempre. E il ‘vattene’ è il rifugio di chi si accontenta. Felice non arriva per dormire ma per svegliarsi. E quando il suo modo di parlare s’accomuna al gioco di partecipare con altri, in quel momento il disegno e’ impietoso. Senza nessuno. Si resta solo aspettando qualcuno.

Pierfrancesco Favino è ammirevole nella partecipazione emotiva ed evoluzione del personaggio. Postura, movenze ma sopratutto il linguaggio e l’accento sono encomiabili e lodevoli. A tutto tondo in ogni istante. Rimangono impresse tante situazioni, dall’incontro con la madre, al bagno nella vasca con piccoli gesti, al ritorno in spiaggia, al caffè in solitario, alla confessione a don Luigi. E ogni passo di oggi e di ieri.
Ma è tutto il cast che attornia benissimo il personaggio di Felice. Credibili e veritieri, con uno sguardo acre e implosivo. Tutti i ragazzi scelti danno la misura della storia. L’asciuttezza è pari alla bravura.
Ragia: ferma, rigida, snella e asciutta. In un’ora non propriamente legale.
Voto: 8/10 (****) -cinema d’attesa-

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