Nymphomaniac - Volume 1: la recensione di loland10
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Nymphomaniac – Volume 1: la recensione di loland10

Nymphomaniac – Volume 1: la recensione di loland10

“Nymph()maniac vol.1” (Nymphomaniac, 2013) è il tredicesimo lungometraggio del regista danese Lars von Trier.
Un film (). Non so cosa dire o meglio voglio dire per dire qualcosa senza una vertigine vera e invereconda e trattenendo il blasfemo per circondare circoncisi e non e per saper dire per ovviare di dire il necessario per poter comunque disdire a ardire di obbedire il filosofo-ggiamento morale e amorale di un derelitto mondo fatto di vagine apri-porta e di peni in mostra che dicono che la donna e l’uomo hanno qualcosa in mezzo alle gambe e alla fine il dire questo è evidente si schiude con una scopata che par vera dove i due oggetti sessuali si incontrano a meraviglia per disdire ogni remora e dire che l’eiaculazione è arrivata. Che disdetta tutto questo nel non dire nulla e di mostrare il pube in prima fila e non avere remore di riguardare il pube maschile e per par verità di infiltrare i ragazzi curiosi dentro il letto alcova-nte del misfatto.
Un film orribilmente raffazzonato e costruito malissimo dove la recitazione sorniona e live, incantevole e spudorata sbatte contro il vento del pelo al vento e delle parole di conteggio, da una canna che aspetta il pesce ad un pesce penzolante che aspetta una porta vaginale, come dimensione ancestrale di un nulla colorato e di un pieno senza misura. E sì che genitali operanti e operati, gare di solfeggio sessuale e tristezze di bocche affamate sculettano nei meandri pieni di sorrisi di uomini che paiono lignei e vitrei per aspettare il gusto di merce che sembra già rara. Un sorriso, un bagno, una busta di cioccolatini e il gioco comincia sul più bello o brutto di turno. Meglio scegliere quelli che non si creano problemi o l’uomo che deve tornare dalla moglie che dice di non per lo spettatore ma la ragazza aguzza il pene e s’aggiusta le labbra.
Un film () che in elenco in elenco tra capitoli successivi e volumi divisi riesce nell’impossibile mo(n)do di un montaggio angusto,pieno di bravate e segnali che troneggiano senza dire nulla. Una sfilata di mesti corpi maschili che dopo un (duro) lavoro in () fabbrica femminea mostrano senza nessuna reticenza affossamenti testicolari e spermatozoi trasandati. Lars gioca di rimessa e di primo acchito non disdegna pesci senza rete e ragazze in agonia con masturbazione cervellotica ma dove il regista vorrebbe arrivare lo spettatore affranto, desolato e annoiato sa che non può dire e infatti non osa dire quello che di dire non c’è nemmeno () l’ombra. Che pene () disdicevoli(e) vedere il padre di famiglia con i suoi tre virgulti quando la moglie quasi soddisfatta mostra il letto di scopate infuocate. D’altronde tra numeri in successioni, arguzie musicali da Bach, Fibonacci, il Teorema di Pitagora e la Summa teorica tra ebraismo e cattolicesimo (‘o mia vulva…o mia… (),,,vulva’) sembra di essere tra il morale di nessuno e il maramaldeggiare di amoralismo apocrifo e moralismo del ‘sì’ canoro mentre il medioevo-moderno contorce le labbra e nel delirio della morte (paterna) si può procedere per un’altra serie di rapporti rapaci con soddisfazione del regista mentre il solito spettatore rimane sempre più allibito e saprebbe cosa dire ma non vuole alzarsi perché vede che il panorama circostante (della sala) resta a dispetto delle gambe levate per sentire (non certo vedere) l’ultima inquadratura (non per gusto ci mancherebbe…qui manca completamente) e il commento musicale altisonante che annuncia il capitolo successivo (e lì ne sono sicuro sono già prima di entrare con le gambe già veloci per salutare il danese della riforma cineamorosamentefallita).
Un film () che t’aspetti a tono (come per dire che non m’aspettavo poco) e invece appare sbandato e atonale. Altro che musica classica, i musicanti attori sanno che devono sbraitare per la verginità sperduta e per le sane piene tasche testicolari che riempiono di (sano) impervio-modo il corpo di facce gaudenti ma che non trovano affatto niente di ciò ma solo contraffazioni vendute come reali mentre prima dell’inizio una scritta conferisce (che beltà di grazia sessuale per niente morale per amore allo spettatore che non ci crede perché dice quello che non dice…) e afferma che il regista acconsente la distribuzione nonostante i tagli che naturalmente fanno parte del film. Dunque vediamo un film che tale non è…ma per quello che si vede il dire del regista è un raggiro incredibile. Poco da (ri)dire e poco da (rag)girare è solo un film senza molto da () (de)formare perché le forme plastificate sono in mostra e quelle tagliate sono da (di)mostrare come non (sono) in reatà. Un amoralismo morale con una pendente pornografia retrò che sancisce in modo indiscutibile la teatralità vaginale di () un film costruito ad arte (battage pubblicitario con capitoli, tagli, montaggi e montatori contro figuranti) ma fuori da arte (che di quella non si osa avvicinare). E la schiera di attori s’addensano nel set di Lars condensando la voglia di toccarsi e di prendere una vacanza di bellezza pubica, di gocce urinali e di fiochi toccamenti ai genitali prima che la moto sia aggiustata e parta (come la miglior o miglior che dir si voglia pene di un attore che conta -nel regista- 3 + 5). E che numeri di Joe con il bellimbusto Jeròme che di testicolanti toccamenti finalmente aguzza l’arguzia per un finale (in volume successivo) che di pube non ha bisogno do togliere lingua e altro che vuole rassodare. Lars von Trier cade nel miscuglio e lo spettatore (sempre quello…genericamente quello che di cinema vorrebbe) s’alza e s’allontana frettolosamente da un film () vagamente e pomposamente inutile e slabbrato. Noiosamente pubico e virtuosamente inverecondo di struttura ma soprattutto che ha pochissimo da dire, Dice (). Un film () oltremodo fatuo, vuoto, languido e annacquato di urinata trombata di pube ’mainstream’: il colpo non riesce in un film () tristemente vuoto di molte cose, sfilacciato e argutamente pensato per chi di film ne ha visti molti. Brutto film e odiosamente in tinta con un bicchiere di camomilla senza annuire a nulla (magari…). E che dire della pioggia iniziale e del racconto in parti- Non par vero (anzi è un falso) ma è da ricopiare per altri registi in modi (e con modi) già visti e sentiti. Un film senza film () contro (). E’ (ap)pena finito che di pene (sfiniti) l’uomo in spettacolo (sfatto) non attende che l’uscita di sicurezza.
Voto: 3½ .

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