Una sfida apparentemente innocente a obbligo o verità si rivela mortale nel momento in cui le persone che sono coinvolte nel gioco cominciano a soccombere in maniera barbara e spietata, nel momento in cui rifiutano di aderire alle regole del gioco. Dopo un iniziale sconcerto, la comitiva di amici cercherà di venirne a capo, in una catena di morti sanguinarie dove nulla è come sembra e le verità non esistono, polverizzate sotto il peso di obblighi e costrizioni, rancori e ripicche.
Il regista di Kick-Ass 2, Jeff Wadlow, torna al genere horror che lo aveva lanciato (con Nickname: Enigmista) e lo fa sotto l’ala protettiva del Re Mida dell’horror contemporaneo, quel Jason Blum produttore eclettico e dal fiuto insostituibile, che con la sua Blumhouse ha dato vita a una vera e propria oasi della paura nel cinema contemporaneo, tanto solida quanto riconoscibile.
L’ispirazione dichiarata è alta, addirittura il romanzo Dio di illusioni di Donna Tartt(primo libro dell’autrice de Il cardellino), mentre la resa effettiva guarda a una fusione commerciale di ironia e violenza, tra ragazze che devono andare a letto col ragazzo della migliore amica al quale muoiono palesemente dietro per ricacciare indietro i demoni maligni e in particolare Callux, spauracchio spietato di turno. Come in un Final Destination 2.0, poi, la paura corre sul filo dei profilo Facebook (e di Snapchat), è un po’ creepy e un po’ sexy.
Valanghe di umorismo e fiumi di sangue, dunque, insistendo sulle declinazioni possibili (tutte rigorosamente goliardiche) del popolare gioco Truth or Dare, ma anche sui fantasmi dell’assenza di responsabilità incorporati, si fa per dire, nel digitale. Elementi che ne fanno il film perfetto per una serata con gli amici sollevata da ogni pretesa, tutta all’insegna di occhiolini ammiccanti e provocazioni solleticanti. Momenti in cui, esattamente come nel film, la rivelazione piccante coincide col terrore della scoperta o col brivido dell’inaspettato, squarciando il velo su passioni malcelate, amori sopiti, desideri mai esplicitati.
Dalla prospettiva dell’analista, invece, è interessante notare come questo film sia di fatto il primo vero horror Blumhouse al tempo di Trump, dopo che Blum aveva portato a casa (e anche agli Oscar) l’horror più obamiano (e acclamato dalla critica) degli ultimi anni, Scappa – Get Out, che non a caso arrivava in coda all’era del primo presidente nero alla Casa Bianca congedandosene brutalmente e aprendo la strada all’incubo, posticcio e grottesco, rappresentato da The Donald.
In Obbligo o verità si fanno i conti col confine messicano (fin dal prologo, dove il Messico è sottolineato ben oltre il suo ruolo da tipica meta per gli Spring Break degli studenti americani), con i genitori omofobi e conservatori di figli asiatici, investigatori di colore, ma soprattutto con la scelta, ottusa in quanto mera pulsione di sopravvivenza, di scegliere sempre l’incolumità del proprio corpo tra se stessi e il mondo.
Mi piace: i tanti riferimenti, cifrati o meno, all’America di Donald Trump, che dietro la cornice del divertissement horror celano più di un punto di interessante e non pochi risvolti sintomatici.
Non mi piace: gli sviluppi horror flirtano spesso col trash, ma tale dimensione rende il film un’operazione liberatoria e godereccia, perfetta per una scatenata serata con la propria comitiva di amici.
Consigliato a: chi cerca un horror gioco e mortifero, ludico e carico di colpi di scena mortali, in stile Final Destination.
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