Oblivion: la recensione di Parker85
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Oblivion: la recensione di Parker85

Oblivion: la recensione di Parker85

Premessa: Oblivion è sicuramente uno dei migliori sci-fi che abbia visto nell’ ultima decade e, data la natura del progetto ed il regista che lo ha realizzato, è quasi scontato l’ accostamento a Tron: Legacy, precedente opera di Kosinski; esattamente come il film Disney, Oblivion si rivela essere un’ esperienza visiva e sensoriale che riprende tematiche ed aspetti, nel caso di Tron riferiti al suo omonimo predecessore, nel caso di Oblivion di tutta una serie di altre fonti, per cui una recensione sui soliti aspetti positivi e negativi del film non rappresenterebbe nel modo giusto quello che idealmente si dovrebbe percepire da questo lungometraggio.
Sulla colonna sonora non mi soffermo molto, in perfetta simbiosi col comparto visivo così come lo era quella dei Daft Punk in Tron: Legacy (nonostante, per me, il lavoro sonoro svolto per il film Disney rimane al di sopra di un paio di tacche) ma sul lavoro di Kosinski ci sarebbe molto da dire perché a mio parere dimostra di essere un regista visionario ed artisticamente completo al pari (o, forse anche qualcosa in più) di alcuni dei suoi colleghi più blasonati, confezionando un prodotto che mette in scena il meglio a livello visivo, ideologico e concettuale dei canoni fantascientifici letterali, cinematografici ed anche videoludici, a cui si aggiunge il tocco personale del regista che prova a spaziare tra i generi all’ interno del suo stesso lungometraggio quasi come a voler accompagnare lo spettatore in questa sua “operazione sensoriale”.
Senza voler rivelare particolari o dettagli salienti del film, nonostante questo spaziare tra i generis ma comunque avendo ben in testa un concetto stilistico chiaro e radicato, Kosinski va a ricreare tutte le situazioni che contraddistinguono una chiara ispirazione Dickiana, arrivando oltre i tre quarti di film ad alimentare il dubbio su cosa è reale e cosa non lo è, fino a quella presa di coscienza, anche da parte nostra, che converte il film in qualcos’altro (perché noi sappiamo che nelle opere di Dick non si arriva mai alla verità, il gioco sta nel continuare a non capire cosa è reale e cosa no), quel qualcosa che, come accennato precedentemente, trae ispirazione da quelli che sono differenti canoni comunque significativi della fantascienza, nella fattispecie robotica (Asimov), fisica e biologia (Clarke), videoludica (mi viene in mente Mass Effect).
In conclusione, Oblivion è un “ibrido” di generi fantascientifici in cui si distingue comunque la marcata impronta del suo regista e, nonostante tutto, è un film che va osservato, va interpretato, volendo esagerare si potrebbe dire che va compreso, perché lo spettatore alla fine può permettersi di leggere oltre i frame ed avere la facoltà di applicare quel margine di interpretazione che dia un senso alla visione; cosa che, di questi tempi, non è così scontata nei prodotti sci-fi di questo tipo.

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