Operazione Zero Dark Thirty: la recensione di Giorgio Viaro
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Operazione Zero Dark Thirty: la recensione di Giorgio Viaro

Operazione Zero Dark Thirty: la recensione di Giorgio Viaro

11 settembre 2001: crollano le Torri gemelle.  2 maggio 2011: Osama Bin Laden viene ucciso nel suo rifugio di Abbottabad, nei dintorni di Islamabad, durante un’operazione condotta da un’unità dei Navy Seals. Operazione Zero Dark Thirty copre l’intervallo temporale tra i due avvenimenti, mettendo in scena le operazioni di intelligence della CIA per localizzare il terrorista, e l’incursione conclusiva.

Il film è diviso in tre parti. Nella prima vediamo Maya, una giovane agente della CIA (Jessica Chastain), che affianca un’agente più anziano (Jason Clarke) negli interrogatori ad alcuni terroristi coinvolti in modo marginale nell’attentato alle Torri Gemelle. Gli interrogatori vengono condotti con un uso massiccio della tortura, in una località sconosciuta: la ferita dell’11 settembre è fresca, le immagini di Abu Ghraib non sono ancora di dominio pubblico e le istituzioni lasciano gli operativi liberi di andarci giù pesante.
Questa politica porta i suoi frutti: tutti i sospettati fanno lo stesso uomo, quello del corriere più fidato di Osama Bin Laden, praticamente il suo braccio destro. Inizia così, nella seconda parte, una lunga operazione di intelligence per scovarlo. Nel frattempo gli attentati di Al Quaeda si susseguono (il Marriott di Islamabad, i bus di Londra, ma anche fatti meno noti, attacchi più mirati che si sono persi nelle cronache convulse di quegli anni), e la pressione dell’opinione pubblica aumenta.
Nell’ultima parte, una volta individuato il rifugio del corriere, la CIA – e in particolare Maya – punta tutto sul fatto che in quel sito sia nascosto anche Bin Laden. L’operazione finale di assalto e omicidio va in scena.

Il film, che è molto lungo (quasi tre ore), ha quindi per due terzi un impianto teatrale, colmo di dialoghi e confronti faccia a faccia, e si incentra sull’ossessione della protagonista per l’operazione di cattura (torna facilmente in testa la Carrie Mathison di Homeland). Un dramma da camera, con rare esplosioni di adrenalina (gli attentati), in cui i volti di testimoni, prigionieri e agenti si accumulano senza soluzione di continuità e senza grande chiarezza, creando più la sensazione di un enorme caos politico, morale e investigativo, che un quadro analitico di quanto accaduto.
L’ultimo terzo di film è invece puro thriller bellico semi-documentario, e per avere qualche riferimento pensate a Black Hawk Dawn, The Kingdom e Green Zone, oltre naturalmente a The Hurt Locker.

Sul piano politico il film ha chiari accenti destrorsi: il nodo è l’uso della tortura, la sua (in)evitabilità per condurre un’operazione di intelligence di questo tipo. La neutralità è impossibile, e il film spinge a parteggiare per gli agenti della CIA e i loro metodi, perché evita di mostrare gli aspetti più disturbanti delle tecniche di interrogatorio in modo sistematico, rendendo l’esperienza dello spettatore il più conciliante possibile. Sul tema Unthinkable si era spinto molto più in là, e con maggiore onestà intellettuale.
La stessa operazione finale dei Navy Seals ha le sole caratteristiche dell’impresa tattica, emotiva, muscolare, balistica, nonostante sia stata successivamente oggetto di molte critiche politiche, in quanto atto di guerra non concordato e unilaterale su territorio straniero, una specie di contro-terrorismo.

Su quello della pura narrazione, infine, si sprecano ingenuità e schematismi, a volte più facili da digerire (anche perché la Chastain e Clark sono bravissimi), altre meno. Ma è il tipo di film in cui a un certo punto compare James Gandolfini con il parrucchino nei panni di un pezzo grosso dell’esercito, mandando a carte quarantotto la sospensione dell’incredulità. O in cui la Chastain/Maya – quando un superiore le domanda “chi è”, durante una riunione – risponde a muso duro “Sono la figlia di puttana (motherfucker in originale) che ha scovato il nascondiglio”. Insomma: pura fiction, che un’ottima regia cammuffa da ricostruzione giornalistica.
Fatti i conti della spesa, bisogna però anche dire che la Bigelow maneggia la sceneggiatura che le mettono in mano da par suo, e – a parte un certo calo nella parte centrale – il film scorre che è un piacere, con picchi notevolissimi (il primo interrogatorio e l’assalto finale soprattutto).

Leggi la trama e guarda il trailer del film

Mi piace
Jessica Chastain e Jason Clarke sono due grandi attori, e la Bigelow gira le sequenze d’azione divinamente

Non mi piace
Racconto semi-documentario o pura fiction? Ne l’uno ne l’altro

Consigliato a chi
A chi cerca un buon thriller investigativo

Voto: 3/5

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