Se il bromance è l’ultima sfumatura prima del queer movie e il cancer movie è l’apoteosi del romance, si può capire che scrivere e interpretare un bromance / cancer movie è un piccolo esempio di forzatura dei dei canoni, un consapevole scombussolamento di prospettive. Per questo, specialmente se si conosce la predilezione di Mark Duplass per la riduzione-indie dei generi (Baghead, Creep 1 e 2, la serie Room 104) – cioè per l’economia di mezzi, interpreti e parole con cui li re-immagina -, ci si può immaginare quanto questo piccolo genio del minimalismo americano si sia (paradossalmente) divertito a scrivere Paddleton, storia di due amici che devono affrontare una diagnosi di cancro terminale.
Scapoli, pigri, senza ambizioni professionali né romantiche, Micheal (Mark Duplass) ed Andy (Ray Romano) ammazzano le giornate attraverso una routine fatta di puzzle, film di kung-fu e una bizzarra variazione sul paddle tennis da loro inventata, per cui la palla, dopo aver rimbalzato su una parete, deve finire in un bidone. È il tipo di innocua stranezza che fotografa la loro vocazione a una vita senza incidenti, una specie di consapevole armistizio con la realtà. Ma la realtà ancora non si arrende, e si ripresenta sotto forma del tumore incurabile al fegato che colpisce uno di loro. Deciso ad evitare tutta la trafila ospedaliera che lo aspetta, Micheal chiede allora ad Andy di affiancarlo nel suicidio assistito, domestico e a norma di legge.
Dopo il veloce set-up, la prima metà del film è puro road movie, perché molte farmacisti si appellano all’obiezione di coscienza e non forniscono le pillole letali, quindi i due devono affrontare una giornata di viaggio per trovare quello che gli serve. Qui il tono è ancora leggero, si può pensare a film come Sideways o Nebraska, entrambi devono metabolizzare la separazione che li attende, così la sceneggiatura può ironizzare sull’ambiguità sentimentale della loro relazione e la regia soffermarsi (con una certa tenerezza) sui loro corpi da outsider. Nell’ultima parte invece il linguaggio è proprio quello del romance, è difficile trattenere le lacrime, è esattamente la fine di una storia d’amore, diversa e simile a tante altre.
In fondo il meccanismo per cui questi film attraggono non cambia, si può ragionare e ci si può accostare alla morte senza esserne toccati, lo stesso vale per gli interpreti, alla fine la valutazione sul film dipende soprattutto dalle scelte di messa in scena. Ecco, Duplass si era già fatto dirigere da Alex Lehmann nell’ottimo Blue Jay (lo trovate sempre su Netflix) e le qualità di Paddleton sono simili, ma forse perfino superiori: il loro cinema è sempre più breve e compatto, è come se si fosse ulteriormente rarefatto, costumi e scenografie sono invisibili, i ruoli sono una manciata e non c’è una parola di troppo (tanto meno una scena madre). La morte fa il suo corso, poi la vita ricomincia.
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