Paradiso amaro: la recensione di Giorgio Viaro
telegram

Paradiso amaro: la recensione di Giorgio Viaro

Paradiso amaro: la recensione di Giorgio Viaro

Dopo che la moglie è finita in coma irreversibile per un incidente mentre faceva sci nautico, Matt King (George Clooney) si ritrova da solo con le figlie, che non si fanno scrupolo di informarlo che la mamma aveva una storia e aveva deciso di lasciarlo. Mentre Matt metabolizza la decisione di staccare la spina, inizia così un percorso a ostacoli nel suo passato e nel suo presente.

Alexander Payne costruisce un altro ritratto di uomo in disarmo, dopo Sideways e A proposito di Schmidt, accentuando ancora i picchi della tragicommedia: a far da contraltare alla figura della donna immobile sul letto e tenuta in vita dalle macchine, c’è infatti il fidanzatino deficiente di una delle figlie, che ogni volta che apre bocca dice qualcosa di terribile e spropositato. Eppure è con lui che Matt, in una notte di particolare malinconia, si mette a parlare a cuore aperto, nonostante il gap di cultura, esperienza e sensibilità. Perché nel mondo di Payne la comunicazione tra i sessi è sempre improbabile e deficitaria, e persino l’amante della moglie si intende con Matt meglio delle donne che lo circondano.

Giocando su ovvi contrasti ambientali – peggio le cose vanno al protagonista, e più le sue camicie diventano colorate, le musiche dell’isola invadenti, i panorami rigogliosi -, il regista dipinge i suoi universi popolati di ragionier Fantozzi fermandosi alle soglie della farsa, e così togliendo allo spettatore la consolazione del surreale. Clooney gioca invece tutto il film sui toni medi e gli sguardi sornioni che gli vengono meglio, sia che lavori con Payne, che per i Coen che per se stesso.

Leggi la trama e guarda il trailer del film.

Mi piace
L’equilibrio di Payne nel mescolare tragedia e farsa

Non mi piace
Funziona meglio la vena comico-surreale di quella drammatica

Consigliato a chi
Ama il cinema indie americano, qui al suo meglio

Voto: 4/5

© RIPRODUZIONE RISERVATA