Parlami di te: la recensione di loland10
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Parlami di te: la recensione di loland10

Parlami di te: la recensione di loland10

“Parlami di te” (The homme pressé, 2018) è il quarto lungometraggio del regista francese Hervé Mimran.
“Mi riposerò quando sarò morto”, dice Alain sprezzante e sicuro.
Niente di meglio che lavorare e non guardare indietro.
“Siete apocrifi invece di ipocriti”. Dice, sempre, Alain quando il vuoto fa capolino.
Ecco che la memoria langue, il cervello balbetta e i termini sembrano interscambiabili.
Alain Wapler non si scompone di fronte a nulla per prepararsi alla grande uscita del modello auto rivoluzionario per il Salone di Ginevra. Tutto pronto, nonostante gli screzi aziendali e le invidie fruscianti, ma l’imprevisto arriva senza preavviso. La salute comincia a preoccuparlo e un ictus pensa di fermarlo. Ecco Alain vorrebbe rialzarsi subito ma non può. Il destino cambia bruscamente strada. Una figlia di conoscere, una Jeanne che, piano piano, gli ridona sicurezza nel parlare e nel ricordare la lingua. Ginevra è salva ma oramai la sua vita è altra. Come la perdita del lavoro.
Ecco che stare a casa, incontrare le persone vicine, accarezzare il cane, guardare la tv e i film in bianco e nero (in realtà ‘Casablanca’ e i suoi miti), fare lezioni sulle parole dimenticate, prendere appunti di un piccolo quaderno, fare colazione in un bar, non allontanarsi da se stesso (anche se non sempre riesce e si perde per strada) sono tutte piccole e grandi cose che rivitalizzano la sua vita e aprono, inaspettatamente, un mondo nuovo.
È il cammino di Compostela sorge come una speranza e una deviazione a tutto
Un gesto di speranza, di commozione e di sguardo nuovo. Belle le sequenze dell’andare tra pianure, sentieri, montagne e paesi con ritrovi e amici casuali.
E salvare un cerbiatto per ridarlo alla ‘mamma’ da il contro canto a tutte le carni macellate in cucina dalla cuoca di casa (tra polli, conigli e quant’altro).
Film medio francese che in modo non sommario gestisce il potere di un’azienda, l’arrivismo, la malattia, il contatto umano, l’incontro, lo scontro, il ritorno e una sana ‘appartenenza’ transalpina.
Film medio divertente, ammiccante, ben orchestrato, commovente e esente da tracce più o meno futili. Ma l’epilogo finale (parlo di un ultimo minuto) chiama in causa pubblicità della grande velocità (indiretta), sana economia e ottimismo di un francese caduto in disgrazia (e questo non può essere…). Si poteva chiudere prima (almeno per chi scrive).
A proposito qualche prodotto (oltre ai treni) compare in capolino: famosa bevanda gassata, palline di cioccolata doppia mm e, naturalmente, auto di note marche. Come dire non tutto viene per nuocere…
Fabrice Luchini (Alain) guarda sempre avanti e con un piglio da attore navigato non sbaglia nulla, mentre è seduto in scrivania, parla di economia, è in visita, raccoglie i cocci e cammina imperterrito tra freddo e caldo verso il suo destino che non conosce.
Leila Beckhti (Jeanne) è l’altra parte della vita di Alain: il loro incontro per la riabilitazione al ricordo e al linguaggio fa cambiare molte cose. I duetti sono spassosi e divertenti come quelli di Alain con gente casuale e vicine alla sua vita. Le parole storpiate e la ‘buonanotte’ per il ‘buongiorno’ sono il marchio di un film (nella successione dei fatti che sembrano casuali) da consigliare per rilassarsi e riflettere. La banalità di una commedia non tocca tale racconto.
Da menzionare l’autista Sam (Gus) che, con piccole battute e scene minime, riesce a ritagliarsi il suo ruolo (come quando ‘spaventato’ deve tornare a casa e non stare addosso al suo Alain per portarlo dove vuole). E la domestica-cuoca (originali siparietti) che lascia stare i convenevoli per un lauto pranzo a base di carne.
Regia variopinta e mai ferma, sorniona e smarginante.
-ps.: i titoli tradotti male o meglio perché cambiare i titoli; lasciare l’idea originale si può?!-
Voto: 7½/10 (***½).
.ps.: quando nel nostro bel Paese una commedia sana e di sano intrattenimento?!?!

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