La sveglia verso le 6,30 del mattino ogni giorno. Il breve tratto a piedi fino a raggiungere la stazione degli autobus e lì montare in servizio. Fa le sue ore e torna a casa dall’amabile compagna. Una passeggiatina col cane e una birra al bar. Lì nel mezzo, un taccuino dove la penna poetica si lascia andare semplice e senza nessuna velleità di pubblicazione od ostentazione. Non ha nemmeno uno smartphone. L’insolito viaggio di Paterson (2016, di Jim Jarmusch). Paterson (Adam Driver) dorme. Guarda l’ora sull’orologio da polso e si sveglia, lasciando la sua dolce Laura (Golshifteh Farahani) dormire ancora sotto le coperte. Fa colazione coi cereali al miele e si reca al lavoro. Guida i bus cittadini. Ascolta le conversazioni dei passeggeri. Nella pausa pranzo lascia libero sfogo alle parole. Ogni giorno. Dopo cena lo attende qualche nota jazz nel locale di Doc (Barry Shabaka Henley), serate animate talvolta dai battibecchi amorosi di Everett (William Jackson Harper) e Marie (Chasten Harmon). Paterson è taciturno ma non asociale. Sente, ascolta. Prodigo nel far compagnia a una ragazzina che aspetta da sola la mamma e la sorellina, scoprendo poi la natura poetica della fanciulla. Laura è una casalinga sorridente e spensierata. Dipinge. Prepara cupcake da vendere al mercato del sabato. In questo momento della sua vita vorrebbe fare la cantante country. Adora le poesie del suo compagno e vorrebbe che le facesse uscire dal proprio taccuino e magari farne qualche copia. Paterson dice sempre che lo farà. La nuova opera di Jim Jarmusch (Daunbailò, Dead Man, Solo gli amanti sopravvivono) è un film a tratti sorprendente. In un ‘epoca in cui tutti si credono esperti di qualsiasi cosa sentendo per di più la necessità di esprimerlo a chiunque, Paterson va per la sua (monotona?) strada. Si sente soddisfatto di ciò che ha o magari no, ma non ha comunque importanza. Non impugna una casacca o un credo per imporre il proprio modo di sentire (vedere) il mondo. Ci gira intorno. Ci medita dentro, per sé e magari anche Laura. Paterson lavora. Ama. Scrive. E lo sa solo lui. Chi è che nel terzo millennio ha ancora voglia di scrivere poesie? Chi riuscirebbe a sedersi davanti a un fiume senza scattare subito una foto e pubblicarla su qualche social network? Per Paterson è quasi sempre tutto ok. Il suo cane Marvin, un bulldog inglese, ogni giorno gli azzoppa la cassetta della posta, e lui paziente la risistema. Non alza la voce. Passa attraverso il tempo e lo spazio. Si scansa e lo colpisce. Paterson (2016, di Jim Jarmusch) è un film capace di far tornare la voglia di pensare. Senza guadagnarci né mostrarlo agli altri. Paterson è un viaggio che tutti dovremmo ricominciare a prendere in considerazione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA