Paterson: la recensione di Leonardo23
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Paterson: la recensione di Leonardo23

Paterson: la recensione di Leonardo23

Che poesia sa maneggiare Jim Jarmush, che filma ancora in silenziosa e toccante contraddizione ai guinzagli delle nuove epiche fragorose, delle nuove regole dello spettacolo a ruggito confezionato. Che poesia in “Paterson”, toccante prova di amore per il cinema ambientato nei piccoli dettagli a margine della vita e svestito dei vezzi stucchevoli del sogno americano. Paterson guida l’autobus nella cittadina omonima e scrive poesie nei ritagli di tempo, ama la moglie e ne sopporta le bizzarrie acromatiche, porta a passeggio il cane e si ferma al bar per una birra e due chiacchere. Sette giorni e sette quadretti di intimità raccontati con orientale metodicità, sottili inquietudini, ironia posata e qualche verso surreale (su tutti i gemelli a tappeto e il magnifico incontro giapponese). Lancinante nel raccontare il ritmo delle cose umane con misura: senza una ubiquità invasiva, invece con una dignità che risparmia le generalità e dona eco poetiche alle sfuggenti realtà minime. Ma l’atto di coraggio è del regista, che sceglie il cinema come vaso comunicante per la poesia, retino per cercare la bellezza nascosta nel quotidiano. Il risultato è una pacifica anarchia fuori tempo che legge, nell’inesorabile sfumarsi di giorni quasi uguali, la fragilità delle cose semplici.

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