Quando cominciano i titoli di coda di Paura 3D, con chitarre distorte ad accompagnare una spettrale e adamitica Francesca Cuttica che vaga smarrita per le strade di Roma, il primo pensiero che sale alla mente è: «Buone le intenzioni, peccato per il risultato». Situazione analoga a quanto succedeva per il precedente L’arrivo di Wang: il che dice molto sullo stato del cinema di genere nel nostro Paese, prima ancora che sul talento dei Manetti.
Lo sci-fi con Ennio Fantastichini era un commendevole tentativo di scrivere e produrre una pellicola diversa, di mostrare che anche in Italia siamo in grado di giocare con tematiche considerate appannaggio esclusivo degli americani. Questo horror con Francesca Cuttica, Domenico Diele e Peppe Servillo – musicista degli Avion Travel e fratello di Toni, da cui ahinoi non ha ereditato il talento – porta i due registi romani in un territorio che più ci appartiene, o dovrebbe appartenerci, quello dell’horror. L’ispirazione è francamente argentiana: si gioca di sottrazione, si sfiora il soprannaturale senza mai andare oltre la mera suggestione, si tenta una riflessione sul concetto di “mostro”. La storia, però, è moderna, nei temi e nell’approccio realistico, “de borgata”: i protagonisti (il citato Diele, Lorenzo Pedrotti, Claudio Di Biagio) sono i soliti “ragazzi normali”, che tra una canna e una serata in sala prove vengono in possesso delle chiavi della villa di un marchese, in provvidenziale trasferta per il weekend. La tentazione è forte, il senso di responsabilità nullo, la festa organizzata in un amen. Finché, causa guasto dell’auto, il nobile non inverte la rotta e torna a Roma, proprio nel momento in cui Simone, «er paranoico» stando agli amici, scopre in cantina una ragazza legata e nuda (la Cuttica, generosa ai limiti della pornografia nel mostrarsi). Il gelido, riservato padrone di casa è dunque un mostro? Esposto questo dubbio, il film tronca i ragionamenti e si abbandona al macello.
Il problema di un impianto simile – soprattutto nel momento in cui si abbandona presto la costruzione dei personaggi per dedicarsi in toto alla violenza – è che non basta una dichiarazione d’intenti per farlo funzionare. Esplicitando: la Paura (3D, ma sorvoliamo su questo punto) è solo nel titolo. (De)merito delle prove attoriali, della colonna sonora da metallaro della domenica e che altro? Soprattutto della scrittura: l’intento è prendere alla gola lo spettatore a suon di corridoi angusti, angoli bui e soffitti bassi, ma i pochi momenti in cui la claustrofobia funziona svaporano come neve al sole di fronte a scelte e comportamenti che sarebbero sembrati sciocchi in uno slasher anni ’70 (abbiamo ancora bisogno di personaggi che non sanno usare il cellulare?). È un peccato, perché la confezione è altrimenti di tutto rispetto: la regia è fantasiosa ed efficace, gli effetti speciali di Stivaletti ben fatti e sanguinolenti al punto giusto. Buone le intenzioni, si diceva; buono il contorno. Peccato per il risultato finale.
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Mi piace
La regia di qualità, a tratti anche sperimentale. Sangue e violenza non deludono.
Non mi piace
Uno script pieno di ingenuità e incongruenze. Peppe Servillo nei panni dell’“orco” non è credibile.
Consigliato a chi
Ama l’horror all’italiana e vuole premiare l’intenzione di rivitalizzare il genere.
Voto: 2/5
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