Pet Sematary: la recensione di vonshuber
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Pet Sematary: la recensione di vonshuber

Pet Sematary: la recensione di vonshuber

Pet Sematary
(2019)
Dopo il fortunato “IT” e il flop “La Torre Nera” continua il redivivo (è proprio il caso di dirlo) filone legato agli adattamenti cinematografici del “maestro dell’orrore “per eccellenza: Mr. Stephen King. La “King-mania”, mai svanita ma sbiadita, rispolvera a questo giro il meraviglioso romanzo omonimo del 1983, considerato una pietra miliare della sua letteratura sia dalla critica che dal pubblico per le sue capacità di trasmettere inquietudine e i temi sempre attuali relativi ai concetti di morte e vita, già oggetto della pellicola di Mary Lambert, cerca di dare nuovo lustro con questo remake.
Per fuggire dalla caotica e stressante Boston la famiglia Creed decide di trasferirsi un bucolico sobborgo del Maine in una graziosa casa circondata da ettari di terreno sul quale sorge Pet Sematary, un cimitero degli animali al centro di stravaganti e secolari usanze da parte degli abitanti limitrofi. La razionalità e le convinzioni sulla vita dopo la morte del Dottor Louis saranno messe a dura prova dalle sconvolgenti verità legate a questo antico cimitero.
Se dal punto di vista cinematografico sono stati fatti passi in avanti grazie alle interpretazioni di outsider come Jason Clarke (Apes Revolution-il pianeta delle scimmie, Everest, Zero Dark Thirty) e John Lithgow (Dexter, Interstellar) e una fotografia accattivante e ben studiata , dal punto di vista dei contenuti il paragone letterario è impietoso. Un po’ per merito dei dictat imposti dal pubblico moderno relativi a questo genere (James Wan docet) legando il concetto di paura allo spavento (l’abusatissimo jump-scare) e un po’ per la mancanza di osare costruire quelle atmosfere angosciose in grado di regalare non pochi incubi ai lettori del romanzo, il film scivola via troppo in fretta mostrando immediatamente la scarsa ambizione di auspicare ad essere un film pre-estivo discreto e non memorabile cercando di distaccarsi dall’opera di King attraverso piccole ma inutili differenze nel finale salvo far storcere il naso allo zoccolo duro dei fans dello scrittore del Maine.
Un occasione sprecata che si limita ad esistere senza incidere. Voto: 6-
Andrea Parisi

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