È lontano il tempo in cui Tim Goodman (Justice Smith) sognava di fare l’allenatore di Pokémon. Ora, a ventidue anni, lavora nella assicurazioni, e ai Pokémon non ci penserebbe più, o quasi, se la morte del padre, un famoso investigatore, non lo richiamasse a Ryme City, la metropoli dove umani e Pokémon vivono fianco a fianco. Crede che sia soltanto l’ora di dire addio ad un genitore che non ha mai veramente conosciuto, ma c’è del marcio nell’incidente che ha portato alla scomparsa di Harry Goodman, e il giovane Tim si trova a far squadra con il partner del padre, l’irresistibile Pikachu, per far luce su un mistero che assume tinte e dimensioni sempre più inquietanti…
Pokémon – Detective Pikachu, primo live action dedicato agli indimenticabili mostri della Nintendo, presenta un protagonista molto diverso dall’amato Ash e dal suo iconico cappellino. Il Tim di Justice Smith è un good boy, come suggerisce il suo cognome, alla prese con una condizione di orfano che gli porta non pochi grattacapi. In particolare per via di un padre, dedito a esperimenti genetici, la cui perdita fa sentire in maniera inequivocabile i suoi strascichi.
Eppure, al netto di questa svolta adulta, il film diretto dal Rob Letterman di Mostri contro alieni e prodotto dalla Warner Bros. non manca di intavolare un approccio giocoso a quel mondo tornato in auge di recente grazie all’applicazione Pokémon Go, ritorno di fiamma che testimonia una passione mai domata nella fascia d’età dei millennials, che alle ore passate davanti ai Gameboy ha lasciato attaccato più di un pezzo di cuore e di memoria.
Pokémon – Detective Pikachu ha però uno spunto di partenza a metà tra noir e thriller, con al centro l’utopia del miliardario visionario Howard Clifford (Bill Nighy) e l’ipotesi di una convivenza pacifica sul pianeta Terra tra esseri umani e Pokémon, che il proseguo del film metterà più volte in discussione per soffermarsi, dietro la cornice soft della battute “gelatinose” e le scene d’azione al servizio di paesaggi molto ricchi per dettagli e composizione, sul cambiamento climatico e la sostenibilità ambientale, sul senso di precarietà che abita il nostro presente e sulla necessità di accettare, in maniera propositiva e dialettica, il distacco e la scomparsa.
Nel bilanciare divertimento e spunti più seri ma ovviamente mai seriosi questo blockbuster, che potrebbe agilmente prestare il fianco a più di un sequel e aprire un nuovo franchise, provvede anche ad armonizzare umani e Pokémon con lo stesso equilibrio con cui bilancia mostriciattoli animati in CGI e attori dal vero, che però non hanno chance di spuntarla, in termini di fascino e interesse, al cospetto dei loro briosi omologhi fantastici.
A cominciare, naturalmente, dall’iconico e arcinoto Pikachu doppiato, in versione originale, da Ryan Reynolds, un po’ Ted di Seth MacFarlane (ma ovviamente molto meno politicamente scorretto) un po’ Sherlock Holmes in versione cartoon, che non manca di sorprendere fino a un attimo prima dell’arrivo dei titoli di coda e risulta particolarmente irresistibile nel suo mix di parlantina irrefrenabile e addiction dalla caffeina.
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