Sarebbe bello avere più film che pongono delle domande, e meno che danno delle risposte, specie su temi a forte rischio di omologazione progressista come la difesa dell’ambiente. Per questo accogliamo a braccia aperte Promised Land, il film che riunisce la coppia Matt Damon (sceneggiatore e interprete) e Gus Van Sant (regista), 15 anni dopo Will Hunting – Genio Ribelle. Racconta la storia di Steve Butler (Damon), piccolo dirigente di una compagnia che si occupa dell’estrazione di gas naturale, una fonte di energia alternativa al petrolio. Butler è in trasferta in Pennsylvania insieme alla collega Sue Thompson (Frances McDormand), per convincere gli agricoltori di una piccola comunità massacrata dalla crisi economica a cedere i diritti di trivellazione sui loro terreni. Diritti pagati più che bene, non fosse che il procedimento di perforazione rischia di inquinare le falde acquifere, uccidendo le piante e il bestiame. Per lo meno questo è quello che sostiene un vecchio ingegnere del paese, Frank Yates (Hal Holbrook), impegnato a fare ostruzionismo insieme ad un attivista “verde” arrivato apposta in città (John Krasinski, anche co-sceneggiatore). E così la battaglia per convincere i contadini a cedere, che sembrava uno scherzo, diventa una campagna porta a porta.
Vi sembra noioso? Non lo è. Promised Land non è un documentario sui pericoli delle fonti di energia alternative (per quello, vi rimandiamo all’agghiacciante Gasland), ma un piccolo film divertente e doloroso sulle ragioni delle nostre scelte e dei nostri sacrifici in tempi – questi qua – di vera crisi economica. La battuta più bella la pronuncia proprio il vecchio Yates, parlando con Butler, sulla sua veranda di casa: «Non è che a me i soldi non servano, è che sono abbastanza vecchio da permettermi il lusso di tenere fede ai miei principi». Ogni scelta – ed è una cosa che non si dice mai abbastanza – ha dietro le sue ragioni: ogni scelta conservatrice, ogni scelta progressista. E nella maggior parte dei casi sono ragioni semplici, auto conservative.
Butler ripete ostinatamente alla ragazza di cui si è innamorato, «Non sono io il cattivo», nonostante lei non gli abbia chiesto nulla: è in buona fede, ma la coscienza si agita. Offre alla gente i soldi della compagnia come lasciapassare per ricominciare altrove, senza sussidi statali e senza paura della miseria. Li aiuta ma al contempo li sradica.
L’altro lato di quella medaglia, il lato di Yates, non è la difesa di un principio – quindi un’astrazione – ma la consapevolezza che una volta venduta anche la terra che abbiamo sotto i piedi, non ci sarà altro da vendere. Una paura differente.
Film umanissimo – a tratti romantico, a tratti buffo, a tratti doloroso, ma sempre pieno di calore – Promised Land è fatto di quelle poche cose che non deludono mai: buona recitazione, buona scrittura, belle musiche e sufficiente onestà intellettuale. Alla fine c’è pure un colpo di scena: dentro di esso c’è l’unica lezione che il film si permette di impartire, e non è una lezione da buttar via.
Guarda il trailer e leggi la trama del film
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Nonostante un tema così delicato, la retorica è tenuta sotto controllo
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Cinema classico, a suo modo “povero”: non tutti saranno disposti a guardare e ascoltare
Consigliato a chi
Cerca una riflessione seria e non pedante sulle conseguenze sociali della crisi economica
Voto: 4/5
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