Quartet: la recensione di Gloin90
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Quartet: la recensione di Gloin90

Quartet: la recensione di Gloin90

Dietro la macchina da presa per la prima volta, l’attore cinematografico Dustin Hoffman riesce a dirigere, con impegno, semplicità e capacità, attori del calibro di Michael Gambon, Maggie Smith, Billy Connolly e Tom Courtenay, nel suo Quartet.
Tre cantanti di un quartetto operistico, Reginald Paget (Tom Courtenay), Wilf Bond (Billy Connolly), Cissy Robson (Pauline Collins) vivono in una casa di riposo per cantanti lirici. Sebbene sia il periodo in cui ci si debba preparare per il gran galà in occasione dell’anniversario della nascita di Giuseppe Verdi, la loro routine scorre abbastanza tranquilla: tra musica, croquet, animazione e passeggiate nell’enorme giardino della casa.
L’arrivo del quarto membro, Jean Horton (Maggie Smith), scombina i piani dell’organizzatore del galà, Cedric Livingstone (Michael Gambon) e riaffiorano dissidi e passati rancori con l’ex marito Reginald.
Dopo aver recitato nei recenti La versione di Barney e Vi presento i vostri (entrambi del 2010), Hoffman esordisce alla regia con un film che si può definire inglese a tutti gli effetti, non solo perché ambientato in Inghilterra (le scene che si svolgono all’esterno ci restituiscono la verde e meravigliosa campagna inglese), gli interpreti sono inglesi ed è una trasposizione di una pièce teatrale di Ronald Harwood (qui sceneggiatore) ma anche per il registro che Hoffman cerca di dare al lungometraggio: amalgamare un tono spensierato e semplice, tipico della commedia inglese, alle difficoltà della terza età.
Ci riesce grazie anche alla performance degli attori: la Smith carismatica e splendida in questo ruolo; la Collins che mescola dolcezza e tristezza; Connolly brillante in un vecchio dongiovanni sempre pronto a sedurre e Courtenay capace nel restituire al pubblico il suo orgoglio spezzato di marito. Una nota positiva va anche a Gambon abilissimo nel ruolo marginale di un uomo brontolone e perfezionista. In alcuni punti però il film scade nella semplicità e nei cliché: i battibecchi tra Reginald e Jean che sfociano invece in uno scontato e ritrovato amore e l’approfondimento marginale del motivo per cui Jean non vuole più cantare.
Tra i vari temi che trasmette la pellicola (l’età che avanza, i ricordi passati) spicca l’amore per la buona musica. Il regista adopera la musica lirica come una scenografia: la sentiamo sempre intorno a noi che sia essa diegetica o extradiegetica; la musica diventa un accompagnamento per i personaggi non perché, una volta, di essa ne facevano il loro mestiere ma perché è la ragione della loro vita, è ciò che li fa sentire vivi.
Ed è questo (la musica) uno dei punti forti, insieme alla maliziosa, intelligente e spiritosa recitazione degli attori, ad un montaggio senza pecche che ne fanno una briosa commedia inglese, un buon film e confermano Dustin Hoffman anche come regista preparato.

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