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Queer di Luca Guadagnino: Daniel Craig e i fantasmi del desiderio. La recensione da Venezia 81

Il regista porta in Concorso l'adattamento dell'omonimo romanzo di William Burroughs, con protagonista l'ex 007 nei panni di William Lee, un americano espatriato a Città del Messico

Queer di Luca Guadagnino: Daniel Craig e i fantasmi del desiderio. La recensione da Venezia 81

Il regista porta in Concorso l'adattamento dell'omonimo romanzo di William Burroughs, con protagonista l'ex 007 nei panni di William Lee, un americano espatriato a Città del Messico

Queer Luca Guadagnino recensione Venezia 81
PANORAMICA
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Fotografia
Montaggio
Colonna sonora

È il 1950. William Lee (Daniel Craig) è un americano sulla soglia dei cinquanta espatriato a Città del Messico. Passa le sue giornate quasi del tutto da solo, se si escludono le poche relazioni con gli altri membri della piccola comunità americana. L’incontro con Eugene Allerton (Drew Starkey), un giovane studente appena arrivato in città, gli mostra per la prima volta la possibilità di stabilire finalmente una connessione intima con qualcuno.

C’è qualcosa di molto misterioso, ipnotico, sfuggente, ma anche estremamente personale nella maniera in cui Luca Guadagnino ha raccontato nel corso della sua carriera il desiderio erotico e le sue conseguenze, nelle maniere più varie e nei film più diversi. Queer, in Concorso a Venezia 81, in questo senso è un’opera-limite, l’approdo estremo di un cineasta che, forte del suo ormai conclamato prestigio internazionale, si permette l’adattamento di un romanzo di uno scrittore chiave della beat generation come William S. Burroughs, facendone qualcosa di estremamente incandescente e personale.

Tra le pagine di un romanziere dall’esistenza controversa, segnata da svariate dipendenze, Guadagnino trova l’ispirazione perfetta per illustrare la dannazione della carne e le pulsioni di chi, come Lee, è eternamente condannato a smaniare per esprimere se stesso e la propria individualità attraverso l’esercizio disperato della seduzione. Nel libro sono tanti i monologhi interiori che ancorano il personaggio, magnificamente interpretato da Daniel Craig, all’addiction per gli altri corpi maschili, che brama con avidità e cupidigia, tanto da scoprirsi di frequente nudo e ferito al cospetto della ghignante, viscida e vergognosa condizione del proprio spirito costantemente assetato di fisicità.

I titoli di testa di Queer si riallacciano direttamente a Chiamami col tuo nome, hanno la stessa limpidezza neoclassica nell’incorniciare il prologo in una dimensione di soave mitologia degli oggetti. Guadagnino è evidentemente un cineasta sempre più orientato verso uno smanioso e straziante feticismo, (come ci ha mostrato anche Challengers), che qui trova la misura perfetta, abbandonandosi completamente a un film in cui l’orizzonte degli eventi è scandito da una febbre per la concupiscenza che non può più essere più rimandata, specie per un uomo affascinante e vigoroso ma in là con gli anni e fiaccato dalla sua tossicodipendenza come Lee. Da questo punto di vista, il later di Chiamami col tuo nome è più che mai lontano, e siamo probabilmente di fronte a una versione per adulti di quel film, a volerli mettere sulla bilancia.

Il regista di Bones and All sognava di adattare Queer, scritto nel 1951-1953 ma uscito solo nel 1985, fin dalla sua giovinezza palermitana, quando ebbe modo di leggerlo per la prima volta a 17 anni. È una fortuna che ci sia finalmente riuscito perché il risultato è un film coraggioso e ardito, che nella seconda parte si spinge alle soglie dello sperimentale e dell’allucinatorio nel raccontare le esperienze di Lee con la droga (in particolare lo sciamanico yage, meglio noto come ayahuasca) e in generale ricostruisce negli studi di Cinecittà una Città del Messico che è teatro astratto e concretissimo delle peregrinazioni di un Daniel Craig ostinatamente dedito al sesso, al fumo e all’alcol.

La star di 007 si concede a questo ruolo oltre ogni generosità e abnegazione, ci si cala letteralmente con anima e corpo, facendo quasi tutto quello che si poteva chiedere a un attore della sua levatura e al contempo riuscendo a sparire dietro il mistero e il dolore di questo personaggio dalla pellaccia ruvida, simile a una corazza, eppure molto spesso fragile e indifeso al cospetto del rifiuto e delle incertezza legate alla propria virilità sempre più malferma e precaria.

Quello di Guadagnino è un film immanente in tutto e per tutto, che però si apre anche alla natura irriducibile di ciò che rende gli esseri umani creature eternamente randagie e insoddisfatte, erranti e vagabonde, all’inappagabile ricerca di una qualche forma di sublimazione. A stupire è ancora una volta la colonna sonora, che si concede svolazzi e anacronismi, fondendo i Nirvana di All Apologies e Come as You Are, i Verdena e il ritrovato contributo degli ormai fidati Trent Reznor e Atticus Ross, ma tutti i comparti tecnici sono al massimo dello splendore e della performatività.

Queer s’interroga dunque, in definitiva, sui fantasmi del desiderio, sulla componente perturbante e sfuggente di ciò che viaggia misteriosamente tra la mente, il cuore e i genitali senza trovare requie. Lo fa senza timore di slabbrare la concretezza delle immagini e degli attori che le abitano, di ricorrere a mani che sfiorano, accarezzano e sognano, delineando traiettorie corporee e altre molto più oniriche, a dissolvenze incrociate, addirittura a corpi che si fanno vere e proprie emanazioni fantasmatiche per fondersi insieme, con la stessa naturalezza raffinata con cui amplessi e vedute paesaggistiche vengono fatte coincidere con sperma, sudore e lacrime.

Foto: Frenesy Film Company, The Apartment Pictures, Fremantle North America

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