Quella casa nel bosco: la recensione di Gabriele Ferrari
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Quella casa nel bosco: la recensione di Gabriele Ferrari

Quella casa nel bosco: la recensione di Gabriele Ferrari

La prima regola di Quella casa nel bosco è che non si parla di Quella casa nel bosco. Perché è uno di quei film di cui sarebbe meglio discutere dopo averlo visto, perché il rischio di spoiler – anche involontari – è altissimo, perché anche solo sapere che questo rischio esiste è di per sé un modo per rovinare la sorpresa. Mentre l’ideale sarebbe godersi il debutto alla regia di Drew Goddard (sceneggiatore di Cloverfield, aiutato qui nella scrittura dal Joss Whedon di Buffy e Firefly) senza alcun preconcetto né aspettativa.

Di primo acchito, Quella casa nel bosco sembra un tipico slasher un po’ camp, a base di “capanna nella foresta” e “ragazzi da macellare”. I protagonisti sono cinque, tutti bellocci (tra i quali spicca un Chris Hemsworth pre-Thor: anche se esce solo ora, infatti, il film è pronto dal 2009) e ciascuno di loro rappresenta una maschera tipica del genere: c’è l’atleta, il nerd, il bravo ragazzo, la secchiona, la gnocca. Dopo dieci minuti si ha già la tentazione di scommettere (da soli o con gli amici) chi sarà il primo a morire, e come. Anche se punteggiata da dialoghi brillanti e molti guizzi di regia, la mimesi del genere è perfetta, filologica fino alla parodia; non a caso si ride molto, per tutto il corso del film, anche quando i cinque devono dire addio al party hard e scontrarsi con gli immancabili mostri, che altrettanto immancabilmente cominciano a farli a pezzi uno dopo l’altro.

Ed è qui che Quella casa nel bosco ingrana, decolla, diventa qualcosa d’altro e comincia la sua paziente decostruzione di ogni cliché che governa gli horror. Perché – e non è uno spoiler, almeno se avete già visto il trailer – se gli eventi del film ricalcano pedissequamente quel che accade in ogni slasher dai tempi di Halloween di Carpenter non è per pigrizia narrativa, ma perché la casa nel bosco è governata da regole a cui non si può sfuggire. A vigilare sulla buona riuscita del rituale – e cos’altro è uno slasher, se non un macabro cerimoniale che deve necessariamente ripetersi uguale a se stesso? – sono due grigi burocrati con i volti televisivi di Richard Jenkins (Six Feet Under) e Bradley Whitford (West Wing). A loro appartiene di diritto il secondo subplot del film, quello che lasciamo scoprire volentieri a voi, nonché quello più sorprendente e stimolante, soprattutto quando, compenetrandosi con il primo, dà vita a un imprevedibile rimescolamento degli standard horror.

Quella casa nel bosco diventa così l’equivalente cinematografico di una giostra del luna park, ma anche una riflessione sulla natura stessa del genere: perché amiamo così tanto vedere degli innocenti morire in modo creativo? Perché siamo affezionati a dettagli come “l’ordine in cui i protagonisti vengono massacrati” o “se due fanno sesso saranno i primi a morire”? È meta-cinema acuto come non lo si vedeva dai tempi di Scream, ma con il valore aggiunto di smontare e ricostruire il Ricettario del perfetto horror senza eccessi di esposizione o trucchetti intellettuali come la rottura della quarta parete – quelle irritanti strizzatine d’occhio verso lo spettatore che nel film di Williamson e Craven abbondavano, insomma. E, pur puntando il dito contro la pigrizia di registi e sceneggiatori dell’orrore, Quella casa nel bosco non è un mero atto d’accusa, né nasconde alcuna traccia di snobismo. È un film molto divertente, che provoca risate, disgusto, stupore, paura, e soprattutto costringe lo spettatore – in particolar modo se fan dell’horror – a porsi delle domande. Ciascuno darà la propria risposta: Quella casa nel bosco non ne fornisce, ed è forse il suo più grande merito.

Leggi la trama e guarda il trailer

Mi piace
La scrittura eccezionale al servizio di una storia finalmente originale e di un’intelligenza sopraffina. L’alchimia del cast. Il risultato finale: un’ora e mezza di divertimento puro.

Non mi piace
A tratti si capisce che Goddard è, in fin dei conti, al suo esordio da regista. La storia, in particolare nella seconda metà del film, è talmente assurda che c’è chi potrebbe odiarla, invece che riconoscerne il genio.

Consigliato a chi
Ai fan degli horror (ma anche a chi i film dell’orrore li odia) che vogliono fare autocritica e godersi una riflessione su meccanismi e fini del loro genere preferito. Divertendosi un mondo, nel frattempo.

Voto: un rischioso, ma secondo noi meritatissimo, 5/5

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