Giacomo (Fabio De Luigi) è lo stravagante e svagato erede di una dinastia di industriali, dedito a studi esotici e coltissimi: la sua vita è stata segnata in profondità dalla scomparsa del padre, suicidatosi quando era molto piccolo, e più che interessarsi all’azienda Giacomo preferisce occuparsi delle sue molteplici passioni. L’incontro con un eccentrico esoterista francese (Philippe Leroy) gli offre però una prospettiva del tutto nuova e a dir poco destabilizzante sull’evento che ha turbato la sua intera esistenza: lo studioso sostiene infatti di poter stabilire con certezza nome e cognome dell’uomo in cui si è reincarnato suo padre. Trattasi di Mario Pitagora (Elio Germano), un cialtrone di mezza tacca, pieno di debiti fino al collo e inseguito dai creditori di mezza città. Un incontro spiazzante e paradossale, che cambierà la vita di entrambi…
Lo sceneggiatore Edoardo Falcone ritorna dietro la macchina da presa due anni dopo il suo esordio alla regia Se Dio Vuole (recentemente opzionato da Bryan Singer per un remake americano) e firma un’altra incursione nella commedia carica di ambizioni più alte e metafisiche del solito. Dal tema della contrapposizione tra religiosità e ateismo che caratterizzava il film precedente, si passa, in Questione di Karma, a un meccanismo comico incentrato sugli archetipi orientali del karma e della reincarnazione, declinati in chiave ironica e calati nel contesto di un buddy movie con protagonista la strana coppia composta da Elio Germano e Fabio De Luigi: una sorta di Bruno Cortona de Il sorpasso del nuovo millennio il primo, un bambino troppo cresciuto, ingenuo e naïf, il secondo.
Falcone ha alle spalle una gavetta da sceneggiatore dura e pura, che negli ultimi anni lo ha visto lavorare con puntuale regolarità e alternarsi, essenzialmente, al fianco dei fratelli Vanzina e di Massimiliano Bruno, due voci e due timbriche perfettamente riconoscibili nell’orizzonte non troppo vitale e diversificato della commedia italiana contemporanea: più farseschi, per forza di cose, i primi, più orientato verso la tipizzazione e la ritrattistica da commedia “umana” il secondo. Due influenze, che in comune hanno forse la tensione verso la coralità nell’affresco e nella definizione dei singoli personaggi, che confluiscono in maniera piuttosto armonica nel recente e fortunato percorso da regista di Falcone, che di suo ha però una certa levità nel tratto, una leggerezza e un’asciuttezza puntualmente stemperate da un garbo autentico e non di facciata.
Tale grazia ben si sposa, sulla carta e in partenza, con l’universalità delle cornici spirituali scelte da Falcone per i suoi film da regista. I suoi lavori, come toni e atmosfere, paiono infatti lavorare genuinamente sotto traccia, evitando le paludi e le zavorre insite nelle proprie ambizioni soprannaturali per declassarle con intelligenza, usando la demistificazione del divino come benzina, quasi mai farsesca, per il proprio scoppiettante motore. Sulla carta, dunque, quanto di più distante dal bozzettismo di molta commedia nostrana di oggi, concepita in batteria e con mesta serialità, tanto nelle storie quanto nei volti proposti al pubblico. E quasi sempre priva di ambizioni reali.
Riconosciuto il pregio nelle intenzioni e nella confezione, Questione di Karma riesce però, come il precedente Se Dio Vuole, a sganciarsi solo in parte da tale pressappochismo, che di tanto in tanto ritorna di soppiatto e dalla finestra. Specie nell’approssimazione della scrittura comica e nella natura telefonata e automatica di svariate gag, che si accontentano di caricare l’onda del pilota automatico e della stereotipia costellata di buoni sentimenti e riconciliazioni esili, piuttosto che cavalcare una comicità d’intreccio e di situazione che sia pienamente e autenticamente coinvolgente, scorretta, imprendibile. A cui si aggiunge un certo manicheismo nella contrapposizione tra i caratteri, presente già in Se Dio Vuole e in maniera perfino più ambigua, sotto il profilo strettamente ideologico, col cattolicesimo che prendeva sempre in controtempo l’ateismo. In maniera assiomatica, e in definitiva piuttosto prevedibile.
La struttura triadica e piuttosto canonica della commedia orientalista di Falcone, che nulla a che fare col successo di Occidentali’s Karma di Francesco Gabbani al di là di una mera coincidenza, per l’appunto, karmica, è però ben oliata a tal punto da funzionare con buona efficacia e altrettanto ritmo. Il merito è soprattutto nel mestiere innegabile della sceneggiatura, firmata anche da Marco Martani oltre che da Falcone, e nell’assemblaggio di un cast piuttosto azzeccato e ben amalgamato, assecondato da un lavoro sui personaggi più sofisticato della media della commedia italiana: con un Germano alquanto inedito e un De Luigi alle prese con un ruolo dal candore più strutturato e sfaccettato rispetto alle solite incarnazioni del comico romagnolo, talvolta perfino patologico. Per non parlare del notevole grado di verosimiglianza e adesione ai rispettivi caratteri con cui Stefania Sandrelli, Isabella Ragonese ed Eros Pagni interpretano rispettivamente la madre, la sorella e il patrigno di Giacomo.
Mi piace: la struttura della sceneggiatura, il lavoro atipico sui personaggi, le ambizioni spirituali, i caratteri
Non mi piace: i buoni sentimenti e la natura telefonata di molte gag
Consigliato a: i sognatori e gli orientalisti, ma anche ai sentimentali e a chi va in cerca di una commedia italiana più sofisticata del solito
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