Race: Il colore della vittoria: la recensione di Donato Prencipe
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Race: Il colore della vittoria: la recensione di Donato Prencipe

Race: Il colore della vittoria: la recensione di Donato Prencipe

La storia raccontata dal regista Stephen Hopkins (Lost in Space) si articola sullo sfondo degli anni poco precedenti la seconda guerra mondiale, quando la Germania nazista iniziava a gettare le basi di un’egemonia razzista e spietata. A farne le spese di quelle assurde e becere imposizioni furono, soprattutto, ebrei, gente di colore e tutti coloro che si opponevano alla dittatura di quel regime. Il film racconta le gesta di Jesse Owens (Stephan James), un ragazzo di colore con un talento purissimo per la corsa e l’atletica leggera in generale, in grado grazie alle sue doti fisiche notevoli ed al suo cuore di sventolare diverse medaglie d’oro dinanzi all’intero plotone nazista e al Fuhrer in persona nelle olimpiadi di Berlino del ’36. Partito per l’università dell’Ohio con il peso di una famiglia sulle spalle e la promessa di un matrimonio alla sua compagna e madre della sua bambina, Owens grazie anche all’influenza del suo allenatore riesce a limare i suoi difetti atletici e caratteriali, riuscendo ad anellare diversi successi in campo atletico fino ad arrivare alle fatidiche olimpiadi tedesche del 1936, organizzate, come pretesto, dalla Germania nazista per portare a conoscenza il suo diktat razzista all’intero mondo. La situazione nel suo paese verso gli uomini di colore non era diversa, il trattamento subito in patria non si discostava più di tanto da quello insulso che subivano i suoi simili in Germania. La piaga del razzismo non conosce padrone se non quella dell’ignoranza e della stupidità umana capace di macchiare come un’onda di petrolio l’oceano della conoscenza e della ragione e se in alcuni casi lo sport è in grado di unire mondi tanto diversi tra loro così la storia dovrebbe insegnare a non abbassare mai più il capo di fronte a tristi vicende.

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