L’innocenza contagiosa di un bambino trasforma il fallimentare vissuto di un uomo in una nobile strada di riscossa ed eroismo. E lui, Charlie Kenton (Hugh Jackman), come un’araba fenice, diventa lo “spielberghiano” esempio da seguire. Proseguendo verso l’orizzonte, ma con il sostegno dell’amore. Il sogno american-disneyano continua.
Dalle ceneri “stalloniane” di Rocky Balboa (Rocky IV, 1985) e Lincoln Hawk (Over the top, 1987), l’ex-Wolverine di X-Men raccoglie l’eredità dei personaggi ruvidi ma onesti. Forti ma feriti. Solitari ma amati. Nell’America traumatizzata da una crisi economica e ancora infangata in due guerre senza fine, i bicipiti della serenità hanno il volto pulito di un figlio-genitore. Bisognoso di essere protetto, ma tanto maturo da concedere una seconda chance a chi lo ha abbandonato e ispiragli un’insperata nuova vita. Violenza e tecnologia sono lo sport d’intrattenimento più in voga del momento, una sorta di realistico cyber-wrestling dove robot guidati da telecomandi se le danno di santa ragione. L’epoca della boxe, karate e simili è ormai sorpassata. Charlie Kenton (Hugh Jackman) è un ex-pugile che si arrabatta con robot di seconda mano. Tutto scorre uguale e con poche soddisfazioni fino al giorno in cui scopre che l’ex-fidanzata da cui ha avuto un figlio è venuta a mancare. Il piccolo Max (Dakota Goyo) pare uscito da uno spot del Mulino Bianco, programmato per essere perfetto. Ha appena perso la mamma ma non ha mai il volto triste. È subito entusiasta della nuova vita. Capace di non portare rancore per un genitore rimasto assente per tutta la sua vita, e di guardare con stizza la bionda zia Debra (Hope Davis) e il ricco e più anziano marito Marvin (James Rebhorn) che vorrebbero adottarlo, la tipica coppia decisa a comprare l’affetto a suon di regali e agiatezza. Il piccolo al contrario si dimostra da subito felice di attaccarsi al padre ritrovato e andarsene in giro a provare combattimenti fra robot. È l’inizio di una nuova avventura. Un giorno il giovane Kenton trova un robot da allenamento di nome Atom, fin troppo simile al Gigante di ferro (Warner Brothers, 1999). Capace di comprendere non solo quello che gli umani dicono, ma di riprodurre ogni movimento all’istante. Padre e figlio, con modalità diverse, iniziano ad allenarlo. Fino allo scontro finale con l’imbattuto campione Zeus. Un match che con i dovuti aggiornamenti, ricalca la epica sfida tra Rocky Balboa (Sly) e Ivan Drago (Dolph Lundgren). La speranza è che il pugno scagliato dal piccolo Atom che intacca per la prima volta i circuiti del possente avversario sia un voluto tributo al quarto capitolo della saga del pugile italo-americano, altrimenti sarebbe uno dei peggiori plagi della storia del cinema. Il finale è un ulteriore salto indietro nel tempo (1976), con i novelli Rocky e Apollo che restano entrambi in piedi senza che nessuno vada ko.
Real Steel (2011, di Shawn Levy) appare scontato dall’inizio alla fine. Non pecca in superbia tecnologica. Vista la produzione, avrebbe avuto i mezzi per farlo. È un punto a suo favore. Esalta il lato umano. Per quanto tecnologica possa essere una macchina, anche in grado di imparare da ogni incontro, non potrà mai superare qualcosa o qualcuno che basa la sua forza sull’imprevedibilità umana. Qualcosa che ricorda molto Rocky V (1990), quando un giornalista si rivolge al manager del neo-campione Tommy Gunn (Tommy Morrison), dicendogli: “Ha vinto qualche match ma non sarà mai come Rocky Balboa”, vedendo in quest’ultimo un Uomo prima ancora che un’atleta.
Max è un puro. Non si vende a nessuna offerta. Guarda in faccia psicotici punk ed eleganti gorgoni sfidandoli sul loro stesso terreno robotico. È sempre pronto a lottare e non arrendersi mai. Quando vede il padre incapace di credere nella chance di vittoria, è lui che lo sprona, strizzando un po’ l’occhio al quasi coetaneo Field Cate, protagonista del video “A song to say goodbye” (2006) della rock band britannica Placebo, dove interpreta un ragazzino che fa da genitore al proprio padre depresso. Ma la Natura è una sola. E messo alle strette, il possente Charlie sentirà il peso degli occhioni del figlio che gli confessa di aver sempre desiderato che si battesse per lui. È l’inizio di un nuovo capitolo per la vita di tutti.
Passano gli anni e le mode, ma il sogno è sempre e ancora quello. Un eroe imperfetto con il raro dono di cadere, rialzarsi e lottare. E non importa davvero vincere una cintura (Rocky I docet). Un pezzo di carta avrà anche il potere di assegnare un titolo, ma non di cambiare i pensieri. E come Atom diventerà il campione della gente, Charlie diventerà quello del suo nucleo familiare, inclusa l’innamorata Bailey (Evangeline Lilly). E tutti vissero felici e contenti.
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