La serie B, fatta bene. Non C, D e E o tanto meno Z (che poi è una categoria a parte, con regole diverse) ma B, cioè un’intenzione produttiva che oggi sembra completamente trasferita dalla sala al salotto, e dagli Stati Uniti all’Europa, con cinematografie ed etichette abilissime in questo come quella spagnola (per esempio la Atresmedia) e francese (per esempio la Labyrinthe Film).
Ecco, la logica – ma direi quasi il sentimento – di un film come Il giorno sbagliato è quella di un cinema di consumo veloce, con una lettura sociale posticcia (l’alienazione urbana, il conflitto di genere, il collasso del sistema economico…), ma non per questo al risparmio, né in termini di messa in scena né in termini di ispirazione.
È un po’ come partire da Taxi Driver o Un giorno di ordinaria follia e abolire le sfumature, trasformando il protagonista in una rappresentazione dell’ignoto: non gli si chiede di allargare lo scenario o di raccontare un mondo (e tanto meno le sue ragioni), ma di restringerne la prospettiva a una caduta gravitazionale verso il caos. È il meccanismo dell’horror, quello di Halloween o Venerdì 13, e naturalmente quello del film che più assomiglia a Il giorno sbagliato, ovvero Duel.
Messo al centro di quel meccanismo un corpo cinematografico illeggibile, e quindi azzeccato per il genere, come quello di Russel Crowe – illeggibile perché ormai da tempo all’imbocco del bivio tra divismo e caricatura, tra apoteosi e caduta (diciamo tra un Idris Elba e un John Travolta) -, per vincere la scommessa la cosa importante, assieme alla perizia tecnica dell’impaginazione (che c’è), era quella di non cedere alla tentazione del PG 13 e fare un film orgogliosamente per adulti. E il giorno sbagliato lo è: orgoglioso, distruttivo, violento, quasi splatter, per adulti.
Una specie di urlo atavico di un cinema in odore di sparizione – in questo sì, politico -, la risposta scomposta e sproporzionata del tizio al quale hai suonato il clacson al semaforo una volta di troppo.
Non c’è che dire, un gran divertimento.