Babygirl, 50 sfumature di Nicole Kidman. La recensione da Venezia 81
telegram

Babygirl, 50 sfumature di Nicole Kidman. La recensione da Venezia 81

Il thriller erotico con protagonista l'attrice premio Oscar e Antonio Banderas è stato presentato in concorso alla Mostra del Cinema

Babygirl, 50 sfumature di Nicole Kidman. La recensione da Venezia 81

Il thriller erotico con protagonista l'attrice premio Oscar e Antonio Banderas è stato presentato in concorso alla Mostra del Cinema

babygirl recensione
PANORAMICA
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Fotografia
Montaggio
Colonna sonora

La prima scena di Babygirl, nuovo film dell’attrice e regista olandese Halina Reijn, si apre con un orgasmo. Lungo, prolungato, sentito, sia dal personaggio interpretato da Nicole Kidman che da quello di Antonio Banderas. Subito dopo, però, la stessa donna si allontana di corsa per andare a “finire” da sola, guardando un video porno. Con pochissime parole e inquadrature, la Reijn presenta benissimo il personaggio di Romy: è una donna con un forte e legittimo appetito sessuale, ma è anche costretta a reprimerlo e soffocarlo.

In questa semplice coordinata c’è sia il cuore pulsante di Babygirl che il suo aspetto più riuscito: la rappresentazione del desiderio femminile, il senso di costrizione imposto dalla società, e soprattutto da una generazione ancora fortemente stretta nella morsa di valori patriarcali e machisti ormai superati (o da superare), nella quale l’espressione della pulsione sessuale da parte della donna – specie una nella posizione di Romy – è ancora mal vista o peggio interpretata come un semaforo verde per comportamenti scorretti.

La donna interpretata da Nicole Kidman è amministratrice delegata di un’azienda che opera nella robotica – fredde macchine, movimenti meccanici: il nadir del sesso, in buona sostanza – e conduce una vita all’apparenza perfetta. L’incontro con lo stagista Samuel (Harris Dickinson, volto di Triangle of Sadness e di The Iron Claw) è fortuito: in lui percepisce un senso di dominanza, di potere, quello che Romy detiene e che per soddisfare le proprie voglie vorrebbe invece cedere totalmente, sottomettendosi a qualcun altro. Non può farlo in piena vista, ovviamente, quindi tra loro si instaura una torbida relazione che rischia di mette in pericolo tutto, per la protagonista.

Babygirl vuole essere un film libero e soprattutto liberatorio, gettare una luce (rossa) sul diritto alla libertà sessuale delle donne anche quando si tratta di esprimere pensieri più perversi della media, anche quelli che sfociano in desideri di sottomissione o per usare il giusto acronimo di BDSM – ovvero quelle pratiche che permettono di condividere fantasie basate sul dolore, sulla cessione del potere o l’umiliazione del partner consenziente. Fanno parte di questa categoria di pratiche erotiche il bondage, la dominazione e anche il sadomasochismo. Pratiche a volte anche estreme, che è quello che Babygirl non riesce mai ad essere.

Nonostante le focose premesse, il film di Halina Reijn langue in una zona di sicurezza che impedisce di andare a fondo della questione, di rendere davvero conto del desiderio e soprattutto della libertà di esprimerlo di Romy. L’inquadratura si stringe, si sposta di lato o cambia quando quello stesso desiderio viene esaudito, in un certo senso auto-censurandosi e cadendo così in una contraddizione artistica difficile da ignorare e che livella verso il basso la portata erotica di Babygirl. Lo stesso linguaggio sessuale viene espresso timidamente da Romy e Samuel, in parte per rendere conto della loro ritrosia morale, ma la sensazione è quella di un film che ha imparato solo alcuni termini base del mondo che intende raccontare, fermandosi sulla soglia della perversione invece che varcarla interamente.

Nicole Kidman si è spesa molto, per Babygirl, non nega neppure lei di aver messo a disposizione il proprio corpo per mettere in mostra questa visione al femminile del desiderio sessuale, ma siamo lontani per esempio da quanto visto fare l’anno scorso da Emma Stone in Povere creature di Yorgos Lanthimos. Un problema (o meglio una scelta conservativa) di regia, non di interpretazione. Così come è un problema (questo sì) il tono di alcune scene, che oscillano tra il comico e il drammatico, non si capisce se volutamente o per effetto di quel retaggio maschilista di cui sopra; ma a farne le spese è soprattutto il personaggio di Antonio Banderas, volontariamente o involontariamente ridicolizzato a più riprese.

Babygirl aveva quindi tutto il potenziale per alzare la temperatura e imporsi come un thriller erotico in grado di aggiornare il linguaggio sessuale e portarlo al passo delle nuove sensibilità e generazioni, invece resta un passo indietro e si segnala come nuovo 50 sfumature di grigio a parti invertite, ma altrettanto diluito e forse ancora più scolastico.

POTETE LEGGERE QUI TUTTE LE NEWS DALLA MOSTRA DI VENEZIA 

© RIPRODUZIONE RISERVATA