Per raccontarvi Better Man, il biopic su Robbie Williams diretto da Michael Gracey e in arrivo nelle sale italiane il 1° gennaio 2024, dopo una super anteprima con tanto di concerto tenutasi la sera del 6 dicembre a Roma, conviene partire da alcuni numeri che inquadrano il fenomeno: Robert Peter Williams è l’artista solista di maggior successo di tutti i tempi nel Regno Unito, la patria dei Beatles, Queen, Led Zeppellin e altri esponenti del gotha della musica mondiale. Sei dei suoi album sono nella Top 100 dei più venduti in patria, è l’artista più venduto degli anni 2000, il cantante più trasmesso dalle radio e se attraversiamo la Manica, con le sue oltre 90 milioni di copie, è tra i più venduti al mondo. Suo è anche il record per il più grande evento live nella storia del Regno Unito (Knebworth Park, agosto 2003: 375.000 spettatori in 3 concerti). Non male, per un ragazzo di Stoke-on-Trent con un disturbo da deficit di attenzione/iperattività, diventato famoso come membro più giovane di una boy band, vero?
Better Man parte proprio da qui, dalla consapevolezza che al centro del palco e sotto i riflettori non c’è solo un’icona della britpop, ma uno dei greatest showman della storia. E come si racconta un personaggio così? Le strade sono tantissime e le stiamo riscoprendo tutte in questo periodo: Bob Marley – One Love è uscito a febbraio, nel 2025 vedremo A Complete Unknown (Bob Dylan), Deliver Me From Nowhere (Bruce Springsteen) e Michael (Jackson). Una strada è quella del biopic classico, il racconto della vita e della carriera da manuale del viaggio dell’eroe. Un’altra è quella scelta da Pharrell Williams con il suo Piece by piece, nel quale il cantautore si racconta tramite i LEGO. Un’altra ancora ci riporta a Bob Dylan e a quel Io non sono qui di Todd Haynes del 2007 in cui il musicista è stato interpretato da sei diversi attori. Insomma, quando si tratta di raccontare la musica la creatività non manca: poteva forse esimersi la più folle e controversa pop star della musica britannica? No di certo, ed ecco come si arriva a Better Man, un auto-biopic in cui Robbie Williams è interpretato da una scimmia e doppia se stesso.
Una scelta non del tutto originale, considerando che la storia delle “scimmie” al cinema è ricca di grandi esempi (compresa ovviamente la saga del Pianeta delle Scimmie), ma che in questo contesto è perfetta per vari motivi: evita innanzitutto la sempre divisiva strada dell’attore/sosia chiamato a interpretare una persona che le cui sembianze sono già stampate a fondo nella retina dello spettatore; consente allo stesso pubblico di empatizzare con più facilità con la storia e il percorso evolutivo del protagonista, perché non avendo sembianze umane il processo di identificazione parte da una base comune; e soprattutto permette al comparto tecnico di scatenarsi, mettendo in scena numeri fuori scala – e in questo Michael Gracey ha già dimostrato con The Greatest Showman di avere pochi rivali – partendo tra l’altro da brani che il pubblico di tutto il mondo conosce già a memoria.
Robbie Williams però non si nasconde dietro a questa maschera, anzi. Better Man racconta la storia dei suoi anni più oscuri, quelli del primo successo, delle follie, della droga, dell’alcol, delle difficoltà a imporsi coi Take That, la sensazione di non avere quella “cosa” che secondo il padre serve per diventare un Dio della musica e la costante sindrome dell’impostore che potrebbe anche sembrare stucchevole modestia se accostata a una personalità esuberante come quella di Robbie Williams, ma con la quale è in fin dei conti facile empatizzare. Racconta cioè una verità, quella personale della pop star, da dietro una maschera in CGI. È come la storia del calabrone o del bombo: non ha la struttura fisica per volare, ma lui non lo sa e lo fa lo stesso, così come questo auto-biopic non dovrebbe poter consentire a Robbie di “metterci la faccia” perché letteralmente nascosta, ma non lo sa e lo fa lo stesso. Ci riesce per un motivo semplice, che è poi uno dei segreti digitali della recente e sottovalutata trilogia (più uno) del Pianeta delle Scimmie: perché nasconde il volto di Robbie Williams, lasciandone però scoperti gli occhi, proverbiali specchi dell’anima e qui digitalizzati per essere i suoi, per tutto il tempo.
Lo sguardo che vediamo è il suo, in tutto e per tutto. Tra una performance musicale e l’altra – quella per Rock DJ è un piano sequenza che vi farà saltare sulla poltrona del cinema, mentre con altri sarete costretti ad asciugarvi le lacrime – la storia di Robbie Williams viene raccontata tramite continui giochi di sguardi e soprattutto superfici riflesse: schermi televisivi, pavimenti allagati, specchi d’acqua, verità e finzione da palcoscenico si alternano costantemente ma non vanno mai ognuna per la sua strada, restituendo luci e ombre senza fare alcun tipo di sconto. Ha quasi i contorni di una seduta di auto-analisi, questo biopic: Robbie Williams affronta i suoi traumi e le sue paure per ricomporsi (terzo musical quest’anno a usare questa strada, dopo Joker: Folie à deux e Emilia Perez) e diventare quel better man cantato nella sua canzone che dà il titolo al film.
Durante il concerto a Roma post-anteprima del film, Robbie Williams ha ironizzato dicendo che quella è la storia della sua vita, che molti episodi sono accaduti esattamente così come sono riportati (come quello dell’anguria) e che adesso però è in un momento diverso della sua vita, che il matrimonio con Ayda Field e la nascita dei figli lo hanno reso un uomo felice e che quindi Better Man 2 durerà cinque minuti, perché non c’è più niente di sconvolgente da raccontare.
Gli crediamo e ci facciamo bastare questo grande ed esaltante film, ennesimo esempio di come la creatività dei biopic musicali (genere spesso difficile da piazzare in Italia) possa essere impareggiabile al cinema.
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