Tre anni fa è stato accolto con scetticismo, ora con l’entusiasmo che si riserva ad un colpo sicuro. Dune, la space opera tratta da quel ciclo di romanzi di Frank Herbert che per molto tempo è stato ritenuto inadattabile, torna sul grande schermo con la seconda parte che completa il primo racconto.
Al centro c’è di nuovo Paul Atreides (Timothée Chalamet), rampollo di una casata alla quale è stata affidata dall’Imperatore la produzione della spezia estratta sul desertico pianeta di Arrakis. La spezia è sacra per i locali Fremen, ma è ancora più importante per l’Impero perché consente i viaggi tra le galassie: controllarla, significa assicurarsi ricchezze fuori da ogni immaginazione. Tale potere è stato a lungo nelle mani degli Harkonnen, che in combutta con l’Imperatore hanno ordito un piano per eliminare gli Atreides da Arrakis/Dune e tornare in controllo del pianeta e della sua ricchezza.
La prima parte, presentata fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2021, è servita a impostare l’ambientazione, delineare i personaggi e definire i rapporti di forza. A Dune è stato riconosciuto un impianto tecnico e artistico eccezionale, tanto che è valso al film sei premi Oscar, ma anche il limite di sembrare un gigantesco pilot di una serie tv. Il sequel, nelle sale dal 28 febbraio 2024 dopo qualche mese di ritardo dovuto allo sciopero degli attori, ribadisce però non solo i valori produttivi dell’intero progetto, ma anche quali sono i temi e gli interessi che muovono la mano di Denis Villeneuve.
Proprio come tre anni fa, il regista di Arrival e Blade Runner 2049 divide il film in due parti: nella prima lavora di fino sulla costruzione della lore, senza rinunciare ad un singolo dettaglio che riguarda l’esperienza di Paul Atreides presso le tribù dei Fremen, divise internamente in fazioni più o meno fondamentaliste nei confronti della profezia che indica proprio il giovane “alieno” come il Messia che libererà Arrakis dall’oppressione e guiderà il suo popolo verso il Paradiso Verde. È in questa fase che Villeneuve dimostra maggiormente la sua ambizione artistica, quella di voler coniugare al meglio la sua natura produttiva di blockbuster ad alto budget e con un cast stellare, con invece i tempi dilatati e l’attenzione richiesta dal cinema d’autore.
Il ciclo di Dune vive di questo equilibrio tra esigenze contrapposte, per poi scatenarsi quando è il momento di farlo. La seconda parte, nella quale vengono maggiormente introdotti nuovi antagonisti come il sadico Feyd Rautha Harkonnen (Austin Butler), alza i giri del motore, lasciando da parte l’occhio documentaristico per appagare quello bramoso di azione, di tragedia e di archetipi in divenire. Anche questa volta, il lavoro sulla colonna sonora di Hans Zimmer e la fotografia di Greig Fraser restituiscono ad ogni scena una ricercata e mastodontica epicità, lontana da qualsiasi nuance da commedia di altre celebri space opera come Star Wars o Star Trek.
Dune ne condivide molti aspetti (perché a conti fatti ne è stato anticipatore assieme al ciclo di Fondazione di Isaac Asimov), ma non il tono. Negli adattamenti dei romanzi di Frank Herbert tutto trasuda serietà drammatica, epica allo stato puro. In estrema e provocatoria sintesi, Dune sta dando alla fantascienza (intesa nella sua accezione più larga e popolare) quello che Il Signore degli Anelli ha dato al fantasy: un adattamento maestoso per messa in scena, straripante per impatto emotivo e gargantuesco per attenzione al dettaglio.
Oltre all’aspetto tecnico, c’è chiaramente anche quello narrativo ed è qui che forse il gigante di Villenueve scopre i suoi piedi d’argilla. Nel trasporre sul grande schermo i romanzi dell’autore statunitense, il regista fa di tutto per mantenere la purezza critica dei temi e calarli in una modernità talvolta fin troppo ricercata. I Fremen sono una popolazione in parte di colonizzati oppressi e in parte di fanatici religiosi, elementi che trovano un chiarissimo riscontro nelle dinamiche politico-sociali delle aree africane e medio-orientali, con tutte le possibili controversie che possono derivare da una rappresentazione di questo tipo soprattutto in fatto di radicalizzazione religiosa – nonostante al suo interno si tenti di evidenziare che convivono diverse correnti più o meno progressiste.
L’aspetto religioso qui non viene solo sorvolato, ma diventa anzi parte fondamentale dell’intreccio: la figura cristologica del protagonista Paul Atreides è ancor più centrale ed è l’incontro-scontro tra fede e superstizione, tra potere e libertà a comporre il tessuto narrativo della seconda parte di Dune – Parte 2, lanciatissimo a questo punto verso uno sperato terzo capitolo che dovrebbe concentrarsi proprio sul terzo romanzo, Il Messia di Dune.
Denis Villeneuve ha già annunciato che qualora venisse realizzato (dopo una pausa), si tratterà ad ogni modo del suo ultimo film per il franchise. Dovesse concludersi anzitempo, resterebbero due film che rappresentano lo stato dell’arte del genere fantascientifico, con più cose da dire che tempo per farlo nonostante una considerevole durata. Ma il materiale sotto la superfice di Dune è prezioso e finora è stato trovato il modo per raffinarlo al meglio. Se sarà così anche in futuro, è una domanda per un’altra profezia. Grazie a quanto fatto finora, però, i fan possono stare tranquilli per quanto riguarda la saga di Dune: al di là della paura il destino la attende.
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Foto: Warner Bros. Pictures
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