È un periodo particolarmente frenetico per un fan del cinema e dei videogiochi. Considerati spesso due mondi distinti, ma con reciproche ibridazioni, la forbice tra le due modalità esperienziali si è assottigliata sempre di più grazie all’attenzione che l’industria cinematografica e televisiva ha riservato al ricchissimo e partecipato settore dei videogiochi. Nel 2023 Super Mario Bros. ha dominato il botteghino primaverile superando il miliardo di incasso, mentre la HBO si è imposta sul piccolo schermo con The Last of Us. Proprio quest’ultima è un paragone tematicamente obbligato per parlare della novità di questi giorni: la serie Fallout arrivata su Prime Video.
Lo studio di Amazon si è infatti lanciato nella mischia, adattando la popolare saga di videogiochi di ruolo prodotta inizialmente da Interplay e poi da Bethesda Game Studios a partire dal 1997. La storia principale del franchise si dipana lungo un periodo di circa 200 anni, ma il setting è sempre quello: si immagina un mondo distrutto da una guerra nucleare avvenuta nel 2077 a seguito di una crisi di risorse naturali e un’umanità costretta a sopravvivere come può su una Terra radioattiva e popolata da mostri e mutanti. A rendere particolare l’ambientazione, è il mix tra retro-futurismo e post-apocalittico: scenari distrutti e desolati, popolati da oggetti e tecnologie ispirate ai design dell’America degli anni ’40 e ’50.
Tutto questo lo abbiamo ritrovato alla perfezione nella serie tv Fallout, ideata da Geneva Robertson-Dworet e Graham Wagner e sviluppata da Jonathan Nolan e Lisa Joy, la coppia già dietro ad un’altra serie che mescola sci-fi e altri generi meno tecnologici come Westworld. Al contrario di The Last of Us, in questo caso la storia si smarca completamente da quella conosciuta dai giocatori: i primi 8 episodi sono ambientati nel 2296, nove anni dopo gli eventi di Fallout 4 e 135 anni dopo quelli del primo storico capitolo della saga. In questo modo, pur mantenendo un orizzonte culturale alla portata dei fan, la serie riesce a intercettare un nuovo pubblico di non giocatori, sempre perfettamente a loro agio nel ricco contesto riportato sul piccolo schermo.
Dal momento che una delle particolarità di Fallout è la divisione in fazioni, i tre personaggi scelti per introdurci a questo universo narrativo appartengono a tre distinte realtà: Lucy MacLean (Ella Purnell) è un’abitante del Vault 33, uno dei numerosi bunker in cui una parte dell’umanità si è rifugiata dopo il disastro atomico, che è costretta ad uscire e scoprire il mondo per come è diventato; Maximus (Aaron Moten) è invece un giovane apprendista della Confraternità d’Acciaio, l’élite militare nella quale cerca di imporsi e allo stesso tempo di smarcarsi; Il Ghoul (Walton Goggins) è invece un ex star di Hollywood ora diventato un cacciatore di taglie e pistolero mutato dalle radiazioni, in giro da prima della guerra nucleare. Tutti e tre hanno un obiettivo comune che coinvolge lo stesso “bersaglio” e si incrociano più volte in location che sembrano prese direttamente da una mappa di gioco varia ma che orienta il giocatore verso punti di interesse chiari e definiti.
Jonathan Nolan e Lisa Joy hanno operato in maniera molto diversa rispetto a Craig Mazin e Neil Druckmann. I due creatori di The Last of Us, complice la diversa natura narrativa e di genere del relativo videogioco, hanno trasposto fedelmente la storia arricchendola qua e là con sotto-trame che si sono allontanate dalle dinamiche videoludiche per abbracciare al meglio il contesto televisivo-cinematografico. Fallout, invece, espande gli eventi del franchise imponendosi come un prodotto paratestuale, pensato per poter stare in piedi da solo anche senza una pregressa conoscenza della materia. Non è necessario aver giocato alla saga di RPG per apprezzare le vicende di Lucy e soprattutto il drammatico risvolto finale, o per capire le dinamiche in corso nella Zona Contaminata. Averlo fatto sicuramente aumenta la coscienza del certosino lavoro fatto sul world-building e i piccoli dettagli, ma se anche non esistessero i videogiochi Fallout resterebbe una buona serie che mescola elementi di commedia nera (e ce ne sono a bizzeffe) al genere post-apocalittico.
Più che un adattamento, quindi, questa serie potrebbe essere considerata come un nuovo capitolo della saga, meno interattivo rispetto alla controparte videoludica ma in grado di dare qualcosa in più ai fan e incuriosire gli spettatori di passaggio. Il tono è decisamente diverso da quello di The Last of Us, e così anche una certa cura formale registica soprattutto nei primi episodi diretti da Jonathan Nolan, che non è suo fratello Christopher e non è solo una questione di mezzi. Una serie che spazia tra i generi (deliziose le scene western del Ghoul e in generale il personaggio) e trova una sua precisa collocazione di mercato e di piattaforma, portando alla fine degli otto episodi a volerne subito ancora. E non è cosa da poco.
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