Ne la Critica del Giudizio, il filosofo tedesco del ‘700 Immanuel Kant muove una contrapposizione tra estetica del bello ed estetica del sublime, distinguendo tra sublime dinamico e matematico. Il primo è espressione della potenza annientatrice della natura, di fronte alla quale l’uomo non può fare altro che prendere coscienza dei propri limiti, mentre il secondo nasce dalla contemplazione della natura immobile e fuori dal tempo. Godzilla Minus One, il film col quale la Toho festeggia i 70 anni della saga più longeva della storia del cinema e arrivato nelle sale italiane solo dall’1 al 6 dicembre grazie a Nexo Digital, è proprio questo: sublime, in ogni sua accezione.
Mentre dall’altra parte del’Oceano Pacifico la Warner Bros. e la Legendary Pictures sono impegnate a portare avanti il cosiddetto MonsterVerse incentrato proprio sulla popolare creatura incoronata Re dei Kaijū tramite nuove serie tv come Monarch: Legacy of Monsters (QUI la nostra recensione) e prossimi film sul grande schermo come l’atteso Godzilla x Kong: The New Empire, sul fronte giapponese non stanno sicuramente con le mani in mano e dopo il reboot del 2016 Shin Gojira riportano indietro le lancette del tempo andando addirittura al cuore della genesi originale del mostro più famoso del Sol Levante.
Godzilla Minus One è ambientato nei mesi e anni subito successivi alla sconfitta del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale e dà corpo alla celebre Legge di Murphy, secondo la quale se ci sono due o più modi di fare una cosa e uno di questi modi può condurre a una catastrofe, allora qualcuno la farà in quel modo. Quel qualcuno è proprio Gojira, che si abbatte come una furia su un Paese già messo in ginocchio e alle prese con una disfatta in grado di stravolgerne la coscienza collettiva. Ad Atene non importa cosa succede a Sparta e per questo, rispetto ai film del MonsterVerse, il filone della Toho specialmente in questi anni è sempre connotato da un diverso approccio narrativo e filosofico: non si tratta mai solo di affrontare un mostro enorme, ma su di esso vengono riversate paure e dolori di una Nazione o, nel caso di Minus One, di un singolo.
Il film del 2016 non ruotava espressamente attorno ad un singolo protagonista del quale fosse tracciabile un arco di trasformazione preciso, quanto piuttosto sulla risposta nazionale collettiva del Giappone contro Godzilla. In parte è così anche in Godzilla -1.0, ma viene da dire che abbiano unito il meglio delle due visioni artistiche, quella americana e quella giapponese. In questa nuova versione un protagonista c’è: si chiama Koichi Shikishima (Ryunosuke Kamiki), è un pilota kamikaze e Godzilla non è altro che la personificazione mostruosa del suo senso di colpa per non essere morto come il sacro dovere giapponese gli avrebbe imposto. Non è un caso infatti che nel (bellissimo) prologo, la creatura emerga dalle profondità nell’esatto istante in cui Shikishima viene messo di fronte alla sua vergogna. Da lì in poi, è un susseguirsi di eventi che, soprattutto nella prima parte, rinforzano questo legame diretto tra uomo e mostro, tale da rendere Godzilla: Minus One un monster movie ontologicamente puro, molto più concettualmente denso rispetto alla versione di Gareth Edwards del 2014, più ascrivibile al genere disaster movie proprio per questa mancanza di identificazione diretta tra le due parti.
Se vi fossero dubbi su questo tipo di lettura, basti ricordare le parole di Jun Fukuda, regista di molti film della prima Era Shōwa su cosa davvero rappresenti il Re dei Kaijū: «Immaginavo Godzilla come la personificazione della violenza e dell’odio per l’umanità, poiché fu creato dall’energia atomica. Portò in sé questa ira a causa delle sue origini. È come un simbolo della complicità umana nella sua propria distruzione. Non ha emozioni, lui è un’emozione». L’idea venne infatti al produttore Tomoyuki Tanaka sorvolando l’Atollo di Bikini, dove nel 1954 venne effettuato il famoso test nucleare Castle Bravo più e più volte citato nei film del franchise, da entrambe le parti: immaginò un modo in cui la natura si sarebbe vendicata sull’umanità per la bomba atomica, dandogli la forma ibrida di un Iguanodon e un Tyrannosaurus con le spine di Stegosaurus. Il resto è proverbiale storia.
La prima parte però non è solo un esplorazione del senso di colpa del protagonista, ma si concede il delizioso lusso di omaggiare in maniera spudorata un capolavoro del cinema come Jaws di Steven Spielberg. Soprattutto la prima sequenza in alto mare, quando la barchetta in legno di Shikishima e della sua squadra di recuperatori di mine della guerra si imbatte in Godzilla, non c’è dubbio che il riferimento sia proprio allo scontro tra Martin Brody, Matt Hooper, Quinn e lo squalo che terrorizza gli abitanti dell’Isola di Amity. Ne ricalca dinamiche d’azione e talvolta persino inquadrature, in un sorprendente omaggio che spinge a dire che la tagline di Godzilla Minus One potrebbe essere benissimo «Al Giappone serve una barca più grande». Ma il tempo del citazionismo ha un limite e la poetica deve lasciare spazio al classicismo.
Ecco quindi che il film diretto da Takashi Yamazaki (Space Battleship Yamato, Doraemon – Il film, Dragon Quest: Your Story) torna in territori noti e Godzilla Minus One esplode di adrenalina e soprattutto epicità, favorita dal ricorso al sensazionale e imprescindibile colonna sonora originale di Akira Ifukube che dal 1954 a oggi accompagna la maggior parte delle avventure di Godzilla, una dei temi più potenti e identificabili della storia del cinema. Che il filone giapponese non possa prescindere dalla sua storia, sia di Godzilla che del Paese stesso, lo dimostra anche il design del Kaijū stesso, squisitamente vicino al “pupazzone” originale del 1954 per plasticità dei movimenti e rotondità del corpo e del muso. Gli effetti speciali non possono competere con i film del MonsterVerse e forse neppure con Shin Gojira (anche perché questo film è costato appena 15 milioni di dollari), ma proprio la confezione così classica rende la scelta perfetta.
Si ritorna quindi al sublime di cui faceva accenno all’inizio: da un lato quello matematico, che rende Godzilla una deità fuori dal tempo, natura ed emozione immobile in grado di essere sempre diversa e insieme identica a se stessa ad ogni sua iterazione, dall’altro quello dinamico che incolla alla poltrona del cinema e mette tutti di fronte alla terribile magnificenza della natura, a quel senso di smarrimento e frustrazione di chi tuttavia è poi in grado di riconoscere la propria superiorità in quanto esseri capaci di agire morale e, quindi, dotati di ciò che occorre per avere la meglio contro la personificazione dello strapotere della natura sull’uomo. Un concetto perfettamente espresso nel finale di Godzilla: Minus One, che ha i connotati del capolavoro ma non può essere etichettato come tale solo perché espressamente derivativo. Di certo, è il modo migliore con cui la Toho poteva festeggiare i 70 anni del suo Re dei Kaijū, ancora splendido nonostante l’età. All hail the King, ancora una volta.
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