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Hit Man, nella mente del finto killer: la recensione dello spassosissimo film con Glen Powell

Ispirandosi a un fatto di cronaca realmente avvenuto, il regista e la star tornano a far coppia per la quarta volta in carriera e promettono risate in quantità

Hit Man, nella mente del finto killer: la recensione dello spassosissimo film con Glen Powell

Ispirandosi a un fatto di cronaca realmente avvenuto, il regista e la star tornano a far coppia per la quarta volta in carriera e promettono risate in quantità

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PANORAMICA
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Nella sua carriera, Glen Powell non ha mai lavorato due volte con lo stesso regista, fatta eccezione per Richard Linklater. Dopo Fast Food Nation (2006), Everybody Wants Some (2016) e il più recente ruolo come doppiatore nel film d’animazione Apollo 10 1⁄2: A Space Age Childhood, i due sono tornati a fare coppia e in questa Powell ci ha messo anche del suo. Assieme ad uno dei migliori registi statunitensi della sua generazione, l’attore ha firmato la sceneggiatura di Hit Man, commedia presentata fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 80.

La premessa è già succosa: nonostante i sicari, intesi come persone disposte ad uccidere dietro pagamento, siano molto spesso rappresentati in film, serie, libri e tanto altro, in realtà queste figure non esistono affatto. Anzi, ogni volta che qualcuno cerca di mettersi in contatto con uno di loro, si sta consegnando nelle mani della polizia. È in questo contesto che incontriamo Gary Johnson, professore di filosofia al college dalla vita particolarmente piatta che, come secondo lavoro e hobby, collabora con la polizia a questo tipo di operazioni.

Quando il loro finto killer di riferimento è costretto a lasciare l’incarico, subentra Gary. Dovrebbe essere solo un ripiego momentaneo, ma invece diventa una nuova proficua e gratificante occupazione grazie alla capacità di Gary di impersonare diversi alias, di indossare la maschera giusta per il “cliente” giusto e riuscire così a farlo cadere nella trappola. Il suo è un vero talento, messo in crisi solo dall’arrivo di Madison – interpretata da una focosissima Adria Arjona, già recentemente vista in Morbius e Andor.

Il suo fascino lo costringe inevitabilmente a mettere a rischio tutta la sua vita e da finto killer si ritrova addirittura ad accarezzare l’idea di diventare lui stesso un criminale. Una situazione che lascia spazio ad una spassosissima commedia degli equivoci, dove Glen Powell è mattatore assoluto: al registro fragile usato per interpretare Gary, alterna invece un’ostentata e sexy sicurezza quando è il momento di calarsi nei panni di Ron, il presunto sicario con il quale Madison inizia ad avere un rapporto. La star che ha preso di recente parte anche a Top Gun: Maverick cambia tono e passo a piacimento, gestendo alla perfezione tempi e modalità di “consegna” delle battute, rendendo pienamente giustizia alla storia scritta insieme a Linklater.

Oltre ad un umorismo coinvolgente da commedia frizzante e senza cali – con almeno due scene memorabili e una battuta (quella sulla morte della cavalleria, giusto per dare un riferimento senza spoilerarla) tra le migliori della storia recente del cinema per epicità comica -, Hit Man trova anche il modo di inserirsi omogeneamente nella filmografia del regista di Boyhood e della trilogia di Before Sunrise. Pur girato in tempi normali (mai scontato, considerando le fascinazioni produttive che lo contraddistinguono), Linklater offre una chiave di lettura psico-filosofica che innalza la qualità stessa dello sviluppo comico dell’azione.

Alla base infatti non c’è solo un racconto ispirato ad un articolo letto 20 anni fa sulla rivista Texas Monthly dallo stesso autore, ma un’indagine del concetto di identità e di se, come e quanto una personalità sia o meno in grado di cambiare. Mischiando commedia, noir (la Arjona è una femme fatale fantastica), thriller e dramma psicologico, tutto va messo sotto la lenta offerta da un dialogo nel quale Gary e l’ex moglie parlano proprio di questo, di quanto il contesto e altri elementi di spinta sociale possano trasformare o meno qualcuno. 

Quasi a sua insaputa, è lui il soggetto di questo esperimento che coinvolge lo spettatore sul piano della visione: il passaggio da Gary a Ron è favorito dai sentimenti e dal legame con Madison, da come lui sia riuscito a trovare una versione di sé che meglio si adatti a quella che lui stesso desidera sia la identità. Nel suo caso si tratta di trovare un punto di equilibrio tra il dominante Super Io, ovvero l’istanza psichica che secondo Freud regola il comportamento e presiede alla coscienza morale, e il riottoso Es, la parte di noi totalmente inconscia che non conosce regole. Il risultato è l’Ego, ciò che siamo o nel caso di Gary/Ron ciò che questa pazza, esilarante avventura lo ha reso.

Hit Man ha il fascino del cult immediato, della commedia destinata a restare nella pancia del pubblico per la quantità di genuine risate in grado di suscitare. Soprattutto per merito di Glen Powell, mai così efficace e qui forse nel ruolo migliore della sua carriera, quello che senza dubbio può rappresentare una definitiva svolta e metterlo nello stesso gruppo del quale fa parte per esempio anche Ryan Reynolds, ovvero attori versatili con una particolare predilezione per la commedia.

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Foto: AGC Studios

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