Sono passati undici anni da quando il cinema ha portato il pubblico all’interno di un nuovo mondo distopico post-apocalittico, tanto cruento quanto affascinante. I primi quattro film di Hunger Games, saga cinematografica basata sui romanzi di fantascienza della scrittrice Suzanne Collins, hanno incassato oltre 3 miliardi tra il 2012 e il 2015 e ora è tempo di tornare nell’arena per scoprire qualcosa di più non sui protagonisti del franchise, ma sull’unico e vero villain: il presidente Coriolanus Snow.
È arrivato nelle sale Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente, anche questo adattamento di un romanzo della stessa autrice pubblicato nel 2020. Il passaggio dalla carta al grande schermo è stato rapidissimo, ma questa volta siamo di fronte ad un raro caso di prequel che riesce effettivamente ad espandere i confini della saga e arricchirla, senza dare l’idea di un prodotto realizzato esclusivamente per sfruttare la residua ondata di popolarità del franchise – che per la verità, dopo il deludente dittico finale, è scemata molto velocemente.
Al centro della storia c’è un giovane Coriolanus, interpretato dal pressoché sconosciuto Tom Blyth (The Gilded age e Billy the Kid sono le sole due prove significative della sua tutt’ora scarna filmografia): prima di diventare il dispotico tiranno di Panem, una versione distopica degli Stati Uniti, organizzati in distretti asserviti alla ricchissima capitale, è stato il rampollo di una famiglia decaduta, intenzionato a riconquistare il posto che ritiene spetti agli Snow. Per farcela deve garantirsi il favore della Dr. Volumnia Gaul (Viola Davis), capo-stratega degli Hunger Games, facendo brillare la stessa di Lucy Gray Baird, tributo del Distretto 12 interpretato da una sorprendente e sfaccettata Rachel Zegler.
Con i prequel la questione è sempre la stessa: ci si aspetta che diano un quadro più ampio dell’universo narrativo di riferimento, portando lo spettatore ad un punto di arrivo già noto senza forzature. La ballata dell’usignolo e del serpente ha come obiettivo quello di dare spessore ad un personaggio, quello di Coriolanus Snow, che nei quattro film con protagonista Jennifer Lawrence era stato rappresentato come un tiranno, un Adolf Hitler a capo di una società distopica che non esita a far uccidere tra loro giovani ragazzi per “insegnare” qualcosa alla nazione intera. Interpretato da Donald Sutherland, Snow aveva già lasciato intendere di essere una figura ben più complessa e sfumata, che dietro la sua efficiente crudeltà ci fosse qualcosa da esplorare. E così è stato.
Il suo arco narrativo compie una parabola notevole, non dissimile da quanto fatto con Anakin Skywalker/Darth Vader nelle due trilogie di Star Wars (fatta eccezione per la redenzione finale): la versione giovane è ancora umana troppo umana, distante da quella vista in Hunger Games ed è proprio nella sua parabola che vanno trovati gli elementi necessari per spiegare come un ragazzo tutto sommato di cuore sia finito col diventare un assassino senza scrupoli di sorta. Il cambiamento non è giustificato solo dall’ambizione o dalla voglia di rivalsa familiare, ma dalla comprensione che i meccanismi interni agli Hunger Games siano gli stessi che regolano la società di Panem, e soprattutto che il loro scopo non sia solo quello di punire e ammonire i Distretti.
Diventa quindi più che mai fondamentale il personaggio di Rachel Zegler: rispetto a Katniss Everdeen, sin da subito si intuisce che dietro a questo tributo ci sia qualcosa di molto più ferale, una rabbia espressa ripetutamente sotto forma di canzoni che richiamano alternativamente la musica folk (termine che fa riferimento al Volk, al “popolo tutto”) e soprattutto il blues, le cui radici risalgono ai canti delle comunità di schiavi afroamericani nelle piantagioni degli stati meridionali. Gli abitanti dei Distretti sono trattati effettivamente come schiavi e la scelta del tono musicale è sicuramente un elemento di pregio nel film di Francis Lawrence (regista di tre dei quattro film della saga principale). Lucy Gray Baird si presenta così: un usignolo, sì, ma la sua sfrontatezza dissemina qua e là punte di dubbio sulla vera natura delle sue azioni. Una nota di ambiguità nuova per Rachel Zegler, che tra West Side Story e il prossimo Biancaneve si è finora presentata al grande pubblico con personaggi con poche sfumature, connotati da una classica bontà da principessa Disney.
È però la filosofia brutale alla base degli Hunger Games ad aprire gli occhi ad entrambi i personaggi: nei mortali giochi di Panem, così come nella vita, quando la preda si sente in pericolo non esita a diventare a sua volta predatore, a fare di tutto per sopravvivere, anche mettendo da parte la propria umanità o chiudendo il proprio cuore alle storture del mondo, andando oltre l’idea che canis canem non est (cane non mangia cane) e abbracciare invece un ben più oscuro cinismo. Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente racconta tutto questo in tre distinte parti, la cui alternanza potrebbe lasciare perplessi perché la fine dei giochi non corrisponde all’ultima fase del racconto. Non basta quella per spiegare chi diventerà Coriolanus Snow, serve un ulteriore segmento dal ritmo decrescente e con intriganti elementi thriller, che distrugga l’immagine residua del ragazzo di cuore e lo consegni al suo destino.
Non aspettatevi quindi il climax riservato ai primi due film con Jennifer Lawrence: qui gli Hunger Games sono un momento di passaggio per un racconto più ampio, un’immersione nelle dinamiche dell’amore, della fiducia, dell’egoismo e dell’ambizione necessarie non tanto per empatizzare con il futuro tiranno, ma per comprendere cosa ci sia dietro a un personaggio meno bidimensionale di quello visto in precedenza. La ballata dell’usignolo e del serpente è quindi un buon esempio di prequel che resta attaccato al filone principale, dando però uno sguardo nuovo, con forse il difetto di non trovare una soluzione più originale per il colpo finale. Una parabola che ricorda l’andamento dell’intera saga, partita in pompa magna e poi crollata sotto il peso delle propria ambizione – proprio come Coriolanus Snow.
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