Il Gladiatore II: al suo segnale, ri-scatenate l'inferno. La recensione del film
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Il Gladiatore II: al suo segnale, ri-scatenate l’inferno. La recensione del film

Arriva nelle sale il nuovo film di Ridley Scott, che prosegue una delle storie più epiche mai raccontate sul grande schermo

Il Gladiatore II: al suo segnale, ri-scatenate l’inferno. La recensione del film

Arriva nelle sale il nuovo film di Ridley Scott, che prosegue una delle storie più epiche mai raccontate sul grande schermo

il gladiatore II recensione
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Ridley Scott non ne vuole sapere di appendere la cinepresa al chiodo e così, dopo aver prodotto e diretto nel giro di tre anni The Last Duel, House of Gucci e il recente Napoleon, a 86 anni e torna indietro nel tempo (dal 14 novembre 2024 nelle sale italiane) per raccontare la nuova parte di quella storia che ha contribuito a far incidere il suo nome a fondo nella tavola del cinema. Alien e Blade Runner lo hanno lanciato, sì, ma è con Il Gladiatore che si è definitivamente consacrato sfondando il muro del cinema di genere per diventare davvero popolare. 

L’annuncio di un sequel del vincitore di cinque premi Oscar, compreso Miglior film e attore protagonista a Russell Crowe, ha da subito fatto storcere il naso e chiamato alle armi il mondo cinefilo: l’industria della Settima Arte rimastica costantemente i propri racconti di successo, trovandogli nuove forme o destinazioni, proseguendo con i suoi creatori o con altri narratori. È successo anche a Blade Runner sempre di Ridley Scott, ma lo stesso discorso vale quasi per tutti i franchise che si sono rivelati commercialmente di successo. Perché stupirsi quindi che anche il film che ha saputo da solo rivitalizzare un genere che a cavallo del nuovo millennio era sostanzialmente morto (il peplum), per di più curato dal suo stesso originale autore, possa tornare a emozionarci con un nuovo racconto?

Ridley Scott era e resta un regista di grandi idee e con un ancor più grande modo di trasformarle in una visione d’insieme cinematografica. Riparte quindi dalla morte di Massimo Decimo Meridio e ne fa raccogliere l’eredità al più scontato dei personaggi, quel Lucio Vero figlio di Lucilla per il quale si è di fatto sacrificato tra le mura del Colosseo. In Il Gladiatore II però lo ritroviamo adulto e lontano da casa: interpretato da Paul Mescal (presente e futuro del cinema mondiale), Lucio ora è un soldato della provincia romana in Africa e cova per la capitale dell’Impero solo rabbia e rancore. Quando dalla Numidia viene ricondotto a Roma in catene dal generale Acacio (Pedro Pascal) e costretto a combattere come gladiatore, come il più classico degli eroi intraprende un percorso che lo porterà al compimento del suo destino, per sfidare non solo gli imperatori fratelli Caracalla e Geta (Fred Hechinger e Joseph Quinn, altre rising stars) e il trafficante d’armi e di uomini Macrino (un Denzel Washington ancora una volta carico a pallettoni), ma anche portare avanti quel sogno chiamato Roma da Massimo e del nonno Marco Aurelio.

Le condizioni del successo del primo film del 2000 non erano di certo facili da ricreare: Il Gladiatore ha saputo sfruttare un vuoto nel genere – che ha dato tantissimo al cinema soprattutto negli anni ’50 e ’60 e che è stato poi rivitalizzato nel nuovo millennio da film come Le crociate sempre dello stesso Ridley Scott, Troy, 300, King Arthur e tantissimi altri – grazie ad un blockbuster che si può descrivere con una sola parola: epico. Parola talvolta abusata, specie nella società dei meme, ma nel suo senso più puro l’epica narra gesta storiche o leggendarie di eroi e di popoli, dei quali si propone di tramandare la memoria e l’identità; epico contrapposto a lirico, anche, ovvero detto di un racconto di carattere oggettivo e soprattutto narrativo. Il Gladiatore, cioè, raccontava una storia semplice, quella di un uomo caduto in disgrazia che si fa strada verso la vendetta e la gloria, narrandone le gesta in maniera estremamente concreta e materiale, come la sabbia tra le mani raccolta da Massimo Decimo Meridio nell’arena del Colosseo. L’epica è il racconto del leggendario, ma c’è un inghippo: solo il tempo può sancire cosa possa esserlo e cosa no, se – parafrasando – ciò che facciamo nei sequel possa o meno riecheggiare nell’eternità.

Con Il Gladiatore II Scott prova a rimettere tutti i pezzi al posto giusto: alcuni calzano ancora benissimo, come la messa in scena gloriosa delle battaglie, la spettacolarità visiva di scene come quella della naumachia nel Colosseo (sì, sono esistite davvero ma sarebbe in ogni caso un esercizio critico inutile continuare a fare le pulci a un regista come Ridley Scott, che ha più e più volte dato prova di essere interessato alla verosimiglianza storica solo fino a un certo punto) e quella generale aura degli sword and sandal; questo sequel, come d’altronde il primo, ha narrativamente vita facile perché non fa altro che raccontare con nomi e dettagli diversi la  storia del militare romano Spartaco, che capeggiò la rivolta di schiavi nota come terza guerra servile e che ispira opere letterarie, storiche, cinematografiche e musicali dal 1800 ad oggi: Lucio Vero è solo l’ennesimo soldato buttato nell’arena e che impresa dopo impresa arriva a tagliare la testa del serpente. Niente di nuovo sul fronte imperiale, quindi, ma una solida riconferma.

Altri pezzi, invece, fanno più fatica ad incastrarsi. Nello specifico, per assurdo che possa sembrare, la sensazione è che questo Il Gladiatore II sarebbe risultato più efficace se: a) non fosse stato così collegato al primo (o avesse seguito una strada ambigua come quella intrapresa, ad esempio, da Blade Runner 2049) oppure b) i diretti interessati non avessero subito rivelato il colpo di scena relativo ai natali di Lucio Vero e il suo legame con Massimo Decimo Meridio. Lo stesso film privato delle scene del riconoscimento tra madre (Connie Nielsen) e figlio, avrebbe funzionato allo stesso modo, se non meglio. Un’eredità simbolica basata sul valore dei personaggi e dell’utopia voluta dall’originale gladiatore, più che una di sangue, avrebbe evitato una certa sensazione di trama forzatamente piegata alla volontà produttive, più che narrative. 

Resta però una visione d’insieme più che gloriosa per ambizioni, con un ritmo molto meno compassato e una recitazione decisamente meno caricata del recente e divisivo Napoleon, più vicina al rigore formale del più piccolo ma riuscito The Last Duel, giusto per inquadrare il sequel nella produzione di Ridley Scott degli ultimi anni. Un film maestoso ma non (ancora?) epico, ma peplum con questa scala e gestione dello spettacolo sono comunque una rarità persino per il cinema di oggi, debitore a Il Gladiatore come il fittizio popolo di Roma al suo eroe.

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