Guy (Ryan Reynolds) è un PNG, ovvero un personaggio non giocante in un videogioco open world chiamato Free City e vagamente ispirato a GTA, dove cioè i giocatori guadagnano punti in gran parte attraverso attività criminali. La routine virtuale di Guy si inceppa però quando incontra per caso l’avatar di Millie (Jodie Comer), mandando in soffitta i suoi schemi di comportamento e aprendogli le porte del libero arbitrio: è il cuore del film, la relazione sentimentale tra un’intelligenza artificiale e una programmatrice che tenta di riprendere possesso del suo videogioco. Millie ha infatti creato l’architettura informatica dei personaggi, dandogli la possibilità di apprendere, evolvere e sviluppare aspirazioni e desideri, ma il suo lavoro è stato rubato da una multinazionale guidata dal cinico Antoine (un Taika Waititi in gran forma). Che ora vuole disattivare il gioco prima che il suo furto venga a galla.
Action movie sfrenatamente citazionista (ma in questo contesto si chiamano easter eggs…), Free Guy dimostra di essersi meritato il passaggio a un Festival prestigioso come Locarno. Non solo opera una crasi intelligente tra Ready Player One e The Truman Show, ma gli conferisce un’anima sentimentale che fa pensare a Her o addirittura a Blade Runner, e che viceversa era la maggior lacuna nella serie Westworld, incapace di librarsi sopra un fiacco discorso politico e al di la del piacere enigmistico. Nel farlo aggiunge inoltre un capitolo forse decisivo all’annosa questione di come ibridare il linguaggio del cinema con quello del videogioco. Torna infatti – come già nel film di Spielberg – sul concetto di open world quale arena videoludica ideale (aperta, appunto) per una messa in abisso del racconto cinematografico, ma del linguaggio dei gamer importa anche tormentoni, vocabolario e volti (alcuni degli streamer più famosi al mondo, ovvero i ragazzi che giocano e commentano in diretta i videogames), spostando il discorso dalla fantascienza distopica a una forma di narrazione perfettamente contemporanea, e quindi, in prospettiva, databile.
Free Guy è un film che può sembrare fin troppo ammiccante nei confronti della generazione Z, e tuttavia lavora sul linguaggio del mainstream con profonda cinefilia, rivolgendosi a un ventaglio di appassionati molto più ampio, come dimostrano anche le tante citazioni che risalgono i decenni, da Il mio amico Arnold a Ralph Supermaxieroe. È divertente, romantico e usa in modo folgorante le varie proprietà intellettuali della Disney. Infine ragiona in filigrana sugli aspetti più dozzinali dell’azione con cui ci bombardano i sensi franchise action come Fast & Furious o Mission: Impossible, rendendone trasparente – e triviale – l’origine informatica.
Se per un blockbuster estivo vi pare poco…
Foto: Walt Disney Studios
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