Dopo aver diretto documentari come Sono cosa nostra e As Time Goes By – L’uomo che disegnava i sogni, Simone Aleandri per il suo esordio nel cinema di finzione sceglie di non discostarsi troppo da quello spirito osservazionale e di raccontare quattro storie ambientate durante la notte più lunga dell’anno, il solstizio d’inverno del 21 dicembre.
Nel buio interrotto dalle luci al neon della strada e dalle luminarie di Natale che affollano una Potenza sospesa tra modernità e immobilismo, si muovono le vicende della 40enne cubista Luce (Ambra Angiolini) e del padre malato (Alessandro Haber); del politico interpretato da Massimo Popolizio in fuga dalla giustizia; di un giovane “emigrato” per studio ma trattenuto dalla relazione impossibile con una donna sposata ma infelice; infine di tre ragazzi in cerca di una serata brava che possa distrarli dalla vacuità delle proprie vite in una terra che non sembra offrire molte possibilità.
Il trait d’union è rappresentato da un bonario benzinaio, custode della notte e porto sicuro per gli affanni dei sei personaggi in cerca dell’alba. La notte più lunga dell’anno, nelle sale dal 27 gennaio 2022, ruota tutto attorno a questa ricerca e ad una suggestione poetica che richiama l’aforisma del libanese Khalil Gibran: “Non si può toccare l’alba se non si sono percorsi i sentieri della notte“. Le varie storie sono accomunate da questo incessante percorso, segnato però da un senso di tragica disillusione, di rassegnazione e allo stesso tempo di smanioso torpore per migliorare la propria condizione.
Su tutte, spicca quella di un’intensa Ambra Angiolini, della quale rimarrà impresso il triste ballo sulle note di Blue (Da Ba Dee) degli Eiffel 65, canzone spogliata di ogni nostalgia cult degli anni ’90 e qui prigione fatta di note per la cubista ironicamente chiamata Luce. In fondo al tunnel non ce n’è molta, però, se non un momento di dolcissima quiete offerto dal benzinaio Sergio (Domenico Mignemi).
Altre storie non godono della stessa ispirazione: l’intera trama del politico di Massimo Popolizio a confronto risulta più grossolana, abbozzata e di minor impatto. Più inquadrati invece gli spasmi di gioventù di chi sente stretta la città, una Potenza spesso ripresa dall’alto, con geometrie futuristiche stranianti rispetto al sentiment dei personaggi, e illuminata da altrettanto anacronistiche luci di Natale.
Dalle storie corali di La notte più lunga dell’anno a volte ci si aspetta una convergenza simile a quanto fatto da Paolo Genovese in The Place, ma è un’aspettativa mal riposta di chi guarda e fa piacevolmente sentire ancora più vicino ai personaggi. Chiunque, in fondo, è familiare con quelle allegoriche notti in cui non si riesce a fuggire dalle proprie ansie, paure e malesseri e si attende solo una salvifica alba. Il maggior pregio dell’opera prima di finzione di Aleandri è proprio essere riuscito ad intercettare questa sensazione, in un film raggelante per cinismo e disillusione.
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