1755, Danimarca. L’algido capitano Ludvig Kahlen (Mads Mikkelsen) chiede alla Tesoreria Reale il permesso di lanciarsi in una missione ritenuta quasi impossibile: coltivare qualcosa nella selvaggia e incontrollabile brughiera. Deve vedersela non solo con la natura stessa, ma anche coni briganti che abitano i boschi della zona e soprattutto con lo spietato Frederik De Schinkel, sadico giudice della zona con dichiarate mire su quella terra. La sinossi di La terra promessa (Bastarden), nelle sale italiane dopo il passaggio in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2023, potrebbe far pensare ad una favola pastorale nerissima; ma, oltre a questo, presto si trasforma anche in un’epopea tanto epica quanto amara.
Undici anni dopo Royal Affair, l’attore di Hannibal, Druk e ormai di tutte le principali grandi saghe blockbuster (Star Wars, Harry Potter, l’universo Marvel: le ha fatte tutte) torna al servizio del regista connazionale Nikolaj Arcel, mettendo a sua disposizione tutto il piatto forte della casa: una freddezza espressiva unica nel panorama mondiale, ma basta un attimo per far trasparire note di amorevole dolcezza. La capacità attoriale di Mads Mikkelsen è mostruosa, un buco nero che attrae a sé ogni scena e ogni piccolo gesto, anche quando si tratta solo di guardarlo annusare della terra o sistemarsi il colletto di una camicia lisa.
Grazie a lui, La terra promessa acquista un respiro ancora più grandioso rispetto alle sue premesse. Mikkelsen incarna un eroe tragico che insegue il proprio faticoso destino senza rendersi conto di quando fermarsi. Glielo ribadiscono a più riprese alcuni personaggi secondari, che come satelliti gravitano attorno alla sua missione, inevitabilmente attirati da quel fascino oscuro che emana e che allo stesso tempo grava sulle sue spalle.
Versione norrena di Giasone, a caccia di un personale vello d’oro in grado di offrigli il riscatto che insegue nella sua vita, segnata dalla condizione di bastardo (da qui il titolo originale), Ludvig è contemporaneamente emblema del fatto che sudore e fatica possono realizzare i sogni, ma anche che il sacrificio necessario per farcela finisce spesso col consumare la fiamma del desiderio stesso. Un taglio fiabesco molto cinico che regala a La terra promessa un finale meno scontato di quanto la sua impostazione classica lasci presagire.
Arcel passa a più riprese dallo sguardo bucolico allo strutturato revenge movie, relegando questa specie di precursore di Rambo in una brughiera che non è solo luogo fisico ma anche dell’anima. Arida, inospitale, ma con pazienza e amore anche qui può crescere ancora qualcosa: elementi che descrivono sia la terra che il protagonista.
Foto: Circuito Cinema
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