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Maria, Angelina Jolie è piena di grazia. La recensione da Venezia 81

L'attrice interpreta la Primadonna Assoluta nel terzo film di Pablo Larraín dedicato a celebri figure femminili del secolo scorso

Maria, Angelina Jolie è piena di grazia. La recensione da Venezia 81

L'attrice interpreta la Primadonna Assoluta nel terzo film di Pablo Larraín dedicato a celebri figure femminili del secolo scorso

angelina jolie in maria di pablo larrain
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Non poteva forse esserci apertura migliore, per il concorso dell’81^ Mostra del Cinema di Venezia. Beetlejuice Beetlejuice – del quale potete leggere QUI la nostra recensione – è servito come divertente e divertito aperitivo di questa rassegna, ma ad aprire ufficialmente la “competizione” non poteva essere che una Diva come la Callas, raccontata da Pablo Larraín in Maria.

Per cominciare: non c’è due senza tre. Per la terza volta Larraín partecipa alla kermesse italiana con un film incentrato su una figura femminile del passato. Dopo Jackie (Miglior sceneggiatura nel 2016) e Spencer (2o21), il regista cileno prosegue in quello che potrebbe essere simpaticamente ribattezzato Larraín Cinematic Universe. Fa sorridere infatti come sia riuscito a trovare dei punti tangenziali tra la storia dell’ex First Lady e il racconto degli ultimi giorni di Maria Callas, la Diva dell’opera lirica che – suo malgrado – ha condiviso con lei l’amore e la relazione con l’imprenditore e armatore greco Aristotele Onassis

Maria si pone in perfetta continuità con il percorso artistico di Larraín, che, dopo l’inciampo El Conde dello scorso anno (comunque premiato per la Miglior sceneggiatura), è tornato alla sua dimensione prediletta: il ritratto chiaroscurale di donne celebrate, amate, ammirate, desiderate, mitizzate persino, ma anche intimamente esplorate, messe di fronte alle loro fragilità. La Maria Callas raccontata in questo film non si esibisce ormai da oltre quattro anni, ma l’eco della sua voce riecheggia in ogni personaggio che la incontra, la sua assenza non intacca l’aura di sacralità che si è saputa conquistare sul palco, fino a diventare forse la più grande soprano nella storia.

Quella gloria passata la tormenta, la costringe a trascinare con sé un enorme peso emotivo e psicologico, a cercarla in ogni modo, abbracciando visioni nel corso delle quali torna ad essere venerata, nelle quali può tornare a essere davvero la Callas. La Maria Callas inquadrata da Pablo Larraín desidera a tal punto rivivere quel passato da perdere il contatto con la realtà, con le primarie esigenze vitali, a sfibrarsi fino alla fine nonostante i tentativi di salvataggio del maggiordomo Ferruccio e della domestica Bruna – interpretati da Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher, entrambi più che ottimi.

La Callas è per Maria un fantasma che non riesce né vuole scacciare. Il film presentato a Venezia 81 diventa così un ghost movie sulla falsa riga di Spencer, dove anche la principessa Diana anelava un ritorno al passato, ma in quel caso non per stare sotto i riflettori, bensì per sfuggirgli. Un ribaltamento di prospettiva, per certi versi, ma è innegabile che ci sia un filo che collega i biopic “al femminile” di Pablo Larraín realizzati negli ultimi 8 anni. 

Ci sono altri due fili che legano Maria a Spencer: il primo è rappresentato da Steven Knight, superbo sceneggiatore che anche in questo caso ha ricamato dialoghi splendidi fatti di botta e risposta, di giochi di potere tra Maria e i personaggi che la circondano, forse talvolta un po’ troppo ad effetto ma che puntano a mostrare le fragilità della protagonista, senza tuttavia permettere a nessuno di colpirla e farla vacillare. Il secondo filo è quello delle interpretazioni, entrambe straordinarie: Angelina Jolie è una Maria piena di grazia, ne restituisce lo splendore e l’orgoglio, la debolezza nascosta e la forza manifesta.

Certo, dietro a questa elegante superbia che ricalca un personaggio noto proprio come la Primadonna Assoluta, Maria nasconde degli ostacoli: Pablo Larraín si conferma un regista in grado di entrare intimamente nella vita dei suoi personaggi, ma allo stesso tempo ci tiene a distanza mantenendo una certa freddezza; le sue protagoniste non sono a completa disposizione emotiva ed empatica dello spettatore, ma messe su un piedistallo, sotto una teca di vetro sulla quale si scorgono delle ditate, delle imperfezioni, ma nondimeno sono opere d’arte esposte al grande pubblico.

Il secondo “problema” è il livello di accessibilità. Maria, come sottolineato dalla stessa Angelina Jolie in conferenza stampa, è un film anche pensato per compiacere il suo pubblico: gli appassionati di lirica. Chi non è pratico di arie e libretti, invece, farà fatica a cogliere certi passaggi, a comprendere l’orgoglio ferito della soprano quando risente la propria voce, o a capire perchè la scelta dell’Anna Bolena sia così significativa per la cantante. Vicini, ma non troppo, come si confà ad una vera Diva.

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