Si dice spesso che gli unici mercati al mondo che non conoscono e mai conosceranno crisi sono quelli del sesso e della morte. Un modo di dire che si applica anche al mondo del cinema e dell’intrattenimento video per adulti e a testimoniarlo c’è l’enorme espansione che i siti hard hanno conosciuto nell’era di Internet. Su tutti, ovviamente svetta Pornhub e la sua storia ora è raccontata nel documentario Netflix Money Shot.
Oltre ad aver dominato per anni il proprio settore di riferimento con numeri da piccolo Stato, Pornhub è riuscito anche a entrare nella Top 10 dei siti più visitati al mondo – almeno fino agli ultimi aggiornamenti sulla classifica di inizio 2023. Lo sarebbe ancora oggi, se non fosse stato per una serie di scandali che hanno profondamente rivoluzionato la piattaforma e un brand che nel corso dell’ultimo decennio ha saputo imporsi in maniera incredibile.
Al centro del documentario diretto da Suzanne Hillinger, ci sono proprio le controversie e le battaglie legali e politiche per far luce su alcuni degli aspetti più oscuri di Pornhub, per molto tempo una manna dal cielo per i sex worker, non solo canonici attori e attrici hard ma anche performer da webcam e via dicendo. Prima dell’avvento di OnlyFans, la piattaforma acquistata nel 2010 dall’azienda MindGeek ha dato infatti la possibilità agli operatori del settore di staccarsi dalle logiche imposte dalle case di produzione pornografiche, per trovare facili guadagni e libertà artistica in uno spazio “sicuro”.
La prima parte di Money Shot è dedicata proprio a questo aspetto: alla liceità morale dell’industria pornografica e a chi l’ha resa uno degli ambienti più redditizi al mondo, alla presa di posizione che se c’è qualcosa di sbagliato nel porno, non è la sua esistenza tout court ma le naturali ombre che una luce così forte inevitabilmente finisce col creare. Nel caso di Pornhub, queste ombre hanno riguardato il caricamento di video di presunti o talvolta comprovati stupri, violenze su minore e altri orrori che poco hanno a che fare con il mondo dell’hard nella sua espressione più genuina e di intrattenimento.
Le migliaia di segnalazioni hanno portato alla nascita di associazioni e di campagne contro il sito, così come a importanti indagini come quella condotta da Nicholas Kristof nell’articolo The Children of Pornhub uscito a dicembre 2020 sul New York Times. Inchieste che hanno spinto anche il Governo canadese a interessarsi attivamente al sito, ai suoi vertici e a come vengono garantite sicurezza e legalità. Travolto dallo scandalo, Pornhub ha poi eliminato dal proprio sito circa 10 milioni (!) di video dei quali non poteva garantire l’origine e l’identità degli utenti.
Rispetto ad altri documentari Netflix, Money Shot rinuncia quasi subito agli aspetti più pop e di intrattenimento: non è un viaggio colorato e “birichino” dietro al più grande sito porno al mondo, ma un tentativo di mostrarne le idiosincrasie e i pericoli, le luci e le ombre. Tuttavia, la sensazione è che Suzanne Hillinger finisca col fare del cerchiobottismo fin troppo calcolato: da un lato spinge forte sulla denuncia, ma subito dopo passa a screditare gli accusatori (dietro ad associazioni come la NCOSE c’è un retaggio cristiano cattolico estremamente conservatore); da un lato punta il dito contro il Communication Decency Act che permette ai servizi digitali di non essere responsabili dei propri contenuti, ma subito dopo prende le difese dei sex worker penalizzati dalle leggi FOSTA e SESTA contro il traffico sessuale online.
“Scavicchi, ma non apra“, in sostanza. Al documentario manca paradossalmente la stessa audacia che caratterizza l’industria del porno: quella che spinge a non aver paura a mostrare e far affondare le mani (o meglio gli occhi) del pubblico nel torbido, mentre qui ci si è limitati invece a dare un quadro generico dei pregi e dei difetti, dei successi e degli scandali di una realtà globale da centinaia di milioni di dollari annui di fatturato. Che non fosse tutto (p)or(n)o quello che luccica, onestamente, ce lo si poteva immaginare anche prima.
Foto: Netflix
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